Se all’inizio del prossimo mese di agosto i dazi imposti dall’Amministrazione Trump dovessero essere confermati al 30 per cento, Vicenza e Belluno potrebbero essere le realtà territoriali del Veneto a subire gli effetti economici più pesanti. Non solo perché da queste due realtà territoriali “partono” due dei tre prodotti regionali più venduti in USA (occhialeria e oro), ma anche perché nel 2024 – in assenza di tariffe doganali – queste due realtà hanno subito, rispetto all’anno precedente, una decisa contrazione delle esportazioni verso il paese a stelle e strisce. Se la provincia berica ha visto diminuire le vendite del 4,7 per cento (pari in termini monetari a -108,7 milioni di euro), quella dolomitica addirittura del 23,9 per cento (-292 milioni di euro). A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA. Anche il dato regionale ne ha risentito. Sempre tra il 2024 e il 2023, le esportazioni venete in Usa hanno registrato una riduzione del 3,8 per cento (pari a -291 milioni di euro). Se Vicenza, Belluno e anche Rovigo (-20,1 per cento) hanno visto scendere le vendite, tutte le altre province venete, invece, hanno aumentato le esportazioni verso gli States. Ovviamente, con tariffe doganali al 30 per cento, la situazione è destinata a peggiorare per tutti; tra mancate esportazioni e costi indiretti (aumento del costo delle materie prime, svalutazione del dollaro sull’euro ed effetti negativi sui mercati finanziari, etc.), l’Ufficio studi della CGIA ha stimato un danno economico per il settore produttivo del Veneto che potrebbe sfiorare i 4 miliardi di euro. I primi 20 prodotti esportati negli USA incidono sul totale per l’80 per cento circa. Dei 7,3 miliardi di euro esportati l’anno scorso dalle imprese venete verso il mercato americano, 5,8 miliardi sono riconducibili alle prime 20 voci. Oltre all’occhialeria, ai vini e all’oro/gioielli, spiccano i macchinari, i mobili e il cuoio/pelli. Cosa fare per attenuare l’onda d’urto causata dall’Amministrazione americana che, molto probabilmente, si abbatterà anche sul sistema economico del Veneto? Innanzitutto, Bruxelles ha 15 giorni di tempo per negoziare con Washington e raggiungere un accordo che sia più giusto e più equo di quello presentato sabato scorso dal Presidente Trump. A livello nazionale, invece, dobbiamo cercare di diversificare i mercati di sbocco delle nostre vendite all’estero guardando, in particolare, al mercato europeo. Inoltre, dobbiamo rilanciare i consumi interni per compensare, almeno in parte, gli effetti negativi che saranno provocati dai dazi americani. Come? Continuando a ridurre il peso delle tasse, lasciando così più soldi in tasca a famiglie e imprese e mettendo a terra i soldi del PNRR. Entro la metà del 2026, infatti, dovremo spendere altri 110 miliardi che potrebbero contribuire in misura determinante a dare un volto nuovo, moderno ed efficiente a tutto il Paese.
Un colpo mortale sul Made in Italy. I dazi potrebbero costare all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro
I dazi al 30% annunciati dal presidente Usa Donald Trump sui prodotti europei potrebbero costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano oltre 2,3 miliardi di euro. E’ quanto emerge da una stima Coldiretti, effettuata sulla base dell’impatto per le filiere nazionali già sperimentato in occasione delle tariffe aggiuntive imposte dal tycoon nel suo primo mandato, che aveva portato a un calo delle vendite a doppia cifra per i prodotti colpiti. L’impatto in termini di prezzi maggiorati per i consumatori americani si tradurrebbe inevitabilmente in ricadute anche sulle aziende italiane, vista la richiesta di “sconti” da parte degli importatori riscontrata nelle scorse settimane. La diminuzione dei consumi porta inevitabilmente a prodotto invenduto per le imprese tricolori, costrette a dover cercare nuovi mercati. Il tutto senza dimenticare il pericolo falsi, con gli Stati Uniti primo produttore mondiale di falso cibo Made in Italy. L’eventuale scomparsa di molti prodotti italiani dagli scaffali rappresenterebbe un assist per la già fiorente industria del tarocco, stimata in un valore di 40 miliardi. Al danno immediato in termini di un probabile calo delle esportazioni andrebbe ad aggiungersi quello causato dalla mancata crescita, con il cibo Made in Italy in Usa che quest’anno puntava a superare il traguardo dei 9 miliardi di euro, dopo aver raggiunto lo scorso anno il valore record di 7,8 miliardi di euro, grazie a un incremento delle vendite del 17% rispetto al 2023, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. A pesare è anche il fatto che le nuove tariffe aggiuntive andrebbero a sommarsi a quelle già esistenti, penalizzando in particolar modo alcune filiere cardine, a partire da quelle già sottoposte a dazio. Con il dazio al 30%, le tariffe aggiuntive per alcuni prodotti simbolo del Made in Italy arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini, al 42% per il pomodoro trasformato, al 36% per la pasta farcita e al 42% per marmellate e confetture omogeneizzate, secondo una proiezione Coldiretti. “Imporre dazi al 30% sui prodotti agroalimentari europei – e quindi italiani – sarebbe un colpo durissimo all’economia reale, alle imprese agricole che lavorano ogni giorno per portare qualità e identità nel mondo, ma anche ai consumatori americani, che verrebbero privati di prodotti autentici o costretti a pagarli molto di più oltre ad alimentare il fenomeno dell’italian sounding – afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini – Purtroppo non possiamo che constatare, laddove dovessero essere confermati i dazi il 1 agosto, il totale fallimento della politica esercitata dalla Von der Leyen a danno dei settori produttivi e delle future generazioni. La Presidente deve spendersi per una soluzione vera, come non ha ancora fatto. In un momento delicatissimo per gli equilibri geopolitici ed economici globali, colpisce la totale assenza di coraggio e di visione strategica da parte dell’Europa. Mentre il mondo si riarma, le filiere si ricompongono e le grandi potenze investono nel rafforzamento della propria sovranità alimentare ed energetica, Bruxelles pensa a tagliare risorse proprio ai settori produttivi più strategici come l’agricoltura e dell’economia reale”. “Dopo la decisione europea di aumentare il proprio contributo alla Nato per superare quello degli Stati Uniti – afferma il segretario generale di Coldiretti Vincenzo Gesmundo – la scelta americana di colpire il nostro agroalimentare con dazi punitivi appare profondamente ingiusta e del tutto asimmetrica. Non si può chiedere all’Europa maggiore responsabilità strategica e poi penalizzarla economicamente sul commercio. Serve uno scatto di lucidità da parte di tutti: ci auguriamo che un supplemento di razionalità, non solo diplomatica, riporti la discussione sul terreno del buon senso e dell’equilibrio tra alleati”.