««Ho guardato la partita contro il Como. Risultato negativo a parte, il Verona mi è piaciuto. Ho visto una squadra che lotta su ogni pallone, dove non mancano alcune interessanti individualità. Mi piace molto Serdar e i due davanti, Giovane e Orban, sono due attaccanti molto dinamici, difficili da marcare. L’Hellas è sempre rimasto attaccato alla partita, non meritava di perdere». L’analisi è quella di Adelio Moro, ex centrocampista gialloblù nella stagione 1975/76. «I punti in classifica sono pochi – aggiunge – ci sarà da soffrire anche quest’anno. Ma questa è una cosa che accomuna tutte le squadre che lottano per non retrocedere. Conosco bene Zanetti, è stato con me quando ho allenato il Vicenza. Era un giocatore di quantità e di temperamento, caratteristiche che vedo oggi nel suo Verona. La sua squadra meriterebbe qualche punto in più. Rimango molto fiducioso per il futuro». Domenica, però, arriva una sfida proibitiva con l’Inter, colori che Moro conosce bene per averli indossati per tre stagioni, proprio prima di passare al Verona. «Sulla carta non c’è partita. A livello individuale la formazione nerazzurra è senza dubbio superiore. La separazione da Inzaghi è stata indolore. Chivu, che conosce bene l’ambiente, ha saputo mantenere in vita i principi tattici esistenti. L’attuale campionato dei nerazzurri non mi stupisce. Inoltre – puntualizza – esiste una società che ha ben chiari i propri obiettivi. L’Inter è una squadra in grado di arrivare in fondo a tutte le competizioni». Il pronostico per domenica sembra scontato ma… «Sicuramente i nerazzurri sono favoriti ma Zanetti è un tecnico che prepara bene le partite. Nel calcio ho imparato che non c’è niente di scontato. Mai dire mai, quindi». C’è tempo anche per una considerazione su un campionato italiano imbottito di stranieri, dove Verona ne è un caso lampante. «Ho fatto per vent’anni l’osservatore per l’Inter -è la sua lettura – e di giocatori bravi ne ho visti. A livello di Nazionali giovanili otteniamo buoni risultati. Purtroppo, quando è ora di Prima squadra in Italia manca il coraggio di rischiare. C’è il timore che i giovani non reggano la pressione. Fa parte un po’ della nostra cultura. Lo straniero avverte meno la paura di sbagliare e, soprattutto, costa meno». Facendo un salto nel tempo, saltano fuori i piacevoli ricordi di quando calcava con indubbia eleganza i campi di calcio. «Nell’Inter sono rimasto tre anni – racconta – in una squadra che arrivava dalle vittorie degli anni precedenti, con campioni come Mazzola, Bedin, Corso, Bertini. Gente che nonostante tutto non mollava un centimetro. Mi sono comunque ritagliato il mio spazio ma soprattutto da loro ho imparato molto. Anche grazie ad allenatori come Invernizzi, Helenio Herrera e Suarez». Poi è arrivato il Verona. «A Verona sono stato un anno solo ma mi sono trovato benissimo. Conservo ottimi ricordi, anche perché è la città nella quale mi sono sposato». Anche lui, come tanti altri, non sarebbe mai andato via. «Proprio così. Stavo bene e, inoltre, l’allenatore Valcareggi voleva che io rimanessi. Saverio (Garonzi ndr) mi disse che Costantino Rozzi mi voleva all’Ascoli e che avrebbe pagato un «sacco de schei». Mi dispiacque andare via ma alla fine fu la mia fortuna. Feci cinque anni bellissimi, mettendo in pratica tutto quello che avevo imparato negli anni precedenti». Nella sua carriera, c’è posto anche per un piccolo record di infallibilità: «Ho sempre calciato i rigori. Ne ho tirati trenta, sbagliandone uno solo. Era un Catanzaro-Ascoli. Noi già in A, loro non ancora. «Meglio così, avessi segnato avrei fatto fatica a tornare a casa». Beata verità di un calcio d’altri tempi.



