Caravale tra politica e intellettuali Con il suo nuovo libro intende spiegare la crisi del rapporto tra governo e cultura

È stato recentissimamente pubblicato il libro di Giorgio Caravale Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni. Docente universitario di Storia moderna, con questo libro Caravale si propone un compito non semplice, ma necessario, a mezzo tra osservazione e critica del contemporaneo. Il libro intende affrontare un fenomeno che l’autore, in modo condivisibile, rinviene nello sviluppo politico a partire dalla fine della Prima Repubblica sino ai giorni nostri: la crisi del rapporto tra politica e cultura e, parallelamente, l’interazione circolare tra classe politica e società civile, tale da spiegare l’ascesa in Parlamento di movimenti di ispirazione anti-politica, opposta alla politica “professionale”. Il compito di Caravale, si diceva, non è semplice, per un motivo appena ovvio, e senz’altro presente a chi conosce il mestiere dello storico: l’assoluta vicinanza temporale del fenomeno studiato, che in questo caso è, a tutti gli effetti, contemporaneo, complica l’assunto di storicizzare l’analisi stessa. Non solo: se si discute di tematiche politiche, o, come in questo caso, metapolitiche – afferenti, cioè, alla forma stessa dell’agire politico, in cui il contenuto e la struttura sono vicini al punto di sovrapporsi –, è difficile non cadere nella tentazione di trasferire le proprie convinzioni, certamente presenti, nella valutazione che si dà dell’operato di politici che si sono visti e si vedono tutt’ora all’opera. Lo scarto tra passato e presente è ben delineato nel libro di Caravale, che non manca, tuttavia, di mostrare la continuità nel processo che ha portato alla crisi, come dice, del «modello gramsciano», tale che, da sinistra, si iniziò a delegare l’agenda politica a personalità intellettuali esterne al Partito comunista. A partire dalla gestione craxiana del Partito socialista, e secondo un modello assunto e implementato dalla destra berlusconiana, si assiste invece a una direzione verticistica dell’organizzazione culturale del partito e della linea politica, tale che gli intellettuali cooptati vengono, quasi letteralmente, adoperati per sostenere la figura del leader, senza che la proposta contenutistica sia effettiva. Questo uso manageriale della cultura si traduce anche nella costruzione di una storia politica che modifica il dato storico, per mostrare genealogie inesistenti o per celare determinati punti dolenti. Il libro di Caravale, pur toccando molti punti tutti insieme, come riconosciuto dall’autore stesso in chiusura, è un utile strumento per accedere a un fenomeno spesso non tematizzato, quello della crisi del fondamento culturale della politica attuale; si può non condividere tutto, ma certamente un’analisi lucida è sempre da apprezzare.

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