C’è tutta la fatica di madri, figli e padri C’mon C’mon, l’ulimo film di Mills, una quotidianità raccontata sul filo dei sentimenti

Johnny è un produttore radiofonico che vaga per gli USA chiedendo ai più piccoli come si immaginano il loro futuro. Incrocia sguardi ed esperienze di questi ragazzi, ne registra opinioni, dilemmi, domande e li riascolta in quella quieta e indisturbata solitudine di chi non ha figli e può concedersi un certo distacco. Quando l’uomo riceva una chiamata dalla sorella Viv, la sua routine si scombina: la donna ha bisogno che qualcuno si prenda cura del figlio Jesse, mentre lei si occupa di un marito psichicamente instabile e lontano da casa. Johnny e Jesse si ritroveranno così incastrati in una convivenza forzata che li porterà a conoscersi, scontrarsi e capirsi più di quanto vorrebbero.
C’è tutta la fatica di padri, figli, madri e dell’essere umani nel nuovo film di Mike Mills, regista americano appassionato di dinamiche famigliari che con C’mon C’mon torna a ricordarci quanto avventurosa sia la vita in compagnia di un bambino. La vicenda è di una semplicità commovente e ricalca uno schema da storia di formazione on the road: un adulto e un bambino sono costretti a condividere spazi, a scoprirsi e a spostarsi da una città all’altra insieme. Johnny è uomo votato all’arte dell’ascolto, ma vive in un costante inciampo emotivo causato dalla morte della madre, avvenuta più di un anno prima; a contraltare c’è Jessie, la sua miniatura iperattiva: bambino sensibile e intelligentissimo (troppo?), minacciato dall’angoscia del padre instabile e adorato dalla madre in grado di decifrarlo anche nei suoi comportamenti più assurdi.
Quella portata in vita da Mills è insomma una quotidianità raccontata con il fil rouge del sentimento e con la messa in scena di due percezioni distinte del mondo: vita adulta e vita infantile sono infatti due realtà che si diramano sullo schermo con naturalezza, scoprendosi agli occhi dei protagonisti in modo graduale e spesso conflittuale. Tale scontro-incontro di prospettive guida l’intero film, e mentre Johnny vive sulla sua pelle l’esperienza di una paternità mai avuta, l’alternanza tra le immagini famigliari e le interviste crea un equilibrio drammaturgico di rara delicatezza. Ma se da una parte questa dinamica garantisce un accesso all’intimità dei personaggi, dall’altra C’mon C’mon soffre di un eccesso di compostezza e tenerezza ostentata, che allontanano lo spettatore dall’esperienza dei protagonisti: la conflittualità viene sì rappresentata, ma troppo spesso si esaurisce con l’esplicita volontà di sedare il trauma, quietare il sentimento spiacevole, smussare le asperità dell’esistenza; da qui il venir meno della verisimiglianza dell’intera parabola formativa, che troppo spesso si tarpa le ali cedendo alla semplificazione tematica, quando invece avrebbe tutte le potenzialità per spiccare il volo verso le vette del grande cinema.
La prova dei tre attori principali resta irreprensibile, con un Joaquin Phoenix coinvolto, dopo tanti ruoli da villain, in sentimenti finalmente positivi, un Woody Norman talentuosissimo e una Gaby Hoffman che è forse la migliore figura materna vista nell’ultimo ventennio.

 

VOTO: 7.5