L’editoriale del 22 ottobre, straniero nella mia città per colpa dell’overtourism ha acceso un dibattito con diverse reazioni, tra le quali l’intervento dell’ex presidente della Provincia Massimo de Battisti che ha sottolineato come le grandi città siano più attrezzate per una difesa della propria identità rispetto a città di medie dimensioni (Verona e Firenze). E’ una questione di orgoglio civico e consapevolezza della propria storia, ma anche di scelte urbanistiche che favoriscono o impediscono la residenza abitativa nei centri storici. Altri osservatori hanno fatto notare che ormai questa trasformazione dovuta all’overtourism è generale, in corso danni, non contenibile al di là del colore delle amministrazioni. Verrebbe così da pensare che ormai ci debba abituare, che tutto sia ineluttabile e che anche in questo caso bisogna assuefarsi. Termine orribile: ci si deve abituare al degrado, ci si deve abituare al brutto, perché così va il mondo che è cambiato. Verona per fortuna mantiene ancora una propria identità grazie soprattutto ai suoi monumenti, all’Arena, ai suoi palazzi storici, a ponte Pietra, alle Torricelle. Ma il pericolo vero è, per dirla con Marc Augè, che a furia di essere consumata, mangiata, strapazzata dal turismo di massa rischi di diventare un nonluogo. Cioè un luogo dove arrivano e passano tutti, ma nessuno ci vive. Augé nel suo saggio del 1992 spiegava che i nonluoghi sono quegli spazi contrapposti ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici. Il riferimento era soprattutto ai centri commerciali, agli aeroporti, luoghi banali e provvisori, concepiti solo per la circolazione e il consumo e alla comunicazione, incentrati solo sul presente e senza storia. Sarebbero il contrario della città storica, nella quale c’è la regola della residenza, il quartiere, le relazioni sociali tra gli abitanti. Ma se tutto questo si perde, allora anche la città antica diventa un non luogo, banale, non vissuto, terra di consumo e mercificazione, dove anche i monumenti diventano scontati e banali (Casa di Giulietta con il balcone), luoghi dedicati solo al transito, al passaggio per spostarsi da un punto di interesse all’altro e così anche i luoghi storici, antichi e testimonianza del passato vengono banalizzati alla stregua di «curiosità» o di «oggetti interessanti». Ecco, finché siamo in tempo fermiamo questa china, non facciamo diventare il centro storico un nonluogo. E la constatazione che altri quartieri come Veronetta riprendono vivacità con osterie, luoghi di incontro, botteghe, relazioni sociali è la evidente controprova della crisi di vuoto da troppo pieno della città antica.



