C’era una volta Eros mazzi. Ve Lo ricordate ?

C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Andavi allo stadio e lo trovavi sempre là, col suo cappotto color cammello, il vestito elegante, l’espressione orgogliosa. Arrivava quasi sempre, parcheggiava la sua Audi, poi s’incamminava verso l’antistadio, quasi cercando il contatto con la gente. Con i tifosi. Loro lo sapevano, forse lo aspettavano, perché “el comendator el ga sempre qualcosa da dirne”. Per arrivare all’antistadio, cinquanta, forse cento metri, da dove aveva la macchina, magari ci metteva mezz’ora. Perché si fermava, raccontava, ascoltava, spiegava. C’era in lui l’orgoglio. C’era passione, cuore, coraggio…
C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Voleva bene al Verona, un bene vero, forte, antico. Perché nel Verona c’era stato ai tempi di Bonazzi, fine anni ’50, primi anni ’60. Era il Verona della prima serie A e poi della risalita. Sono gli anni in cui Eros Mazzi vede, in Brasile, un ragazzino di cui parlano tutti benissimo. Si chiama Edson Arantes do Nascimento. Ha 15 anni, “…ma mi l’avarea tolto”. L’affare non va in porto, Edson eccetera eccetera prende altre strade, un anno dopo, nel ’58, Mondiali di Svezia, sarà già Pelè. E non è solo leggenda. “Un giorno – ricorda Stefano Mazzi – incrociai Pelè, in aeroporto. Ci salutammo e quando gli dissi chi ero, lui sorrise. E ricordava l’interesse di papà…”.
C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Lui non si sottraeva mai al confronto neanche con i giornalisti. “Dovì volerghe ben al Verona…”, ti diceva. E se qualche volta avevi scritto che il Verona “aveva giocato male”, ti prendeva da parte, ti stringeva il braccio e ti raccomandava di essere…buono, “…parchè la gente dopo no la vien più a stadio”. E ti raccontava i segreti, ma sapeva anche ascoltare, nonostante non ne avesse (forse) bisogno. Perché sapeva di calcio, ne capiva, sapeva di uomini, ne capiva molto. “…e parchè o zugà anca mi al balòn. Centravanti del Lugagnan, ghè na traversa che scurla ancora”
C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? Uno che sapeva ancora innamorarsi di un giocatore, di un’idea. Vide Dragan Stojkovic, ai mondiali del ’90 e se ne innamorò. Lo volle nel Verona, tornato suo dopo il fallimento, anche se Stojkovic s’era appena rotto e aveva una gamba più piccola dell’altra. Eros Mazzi andò da Tapie, il Berlusconi di Francia, per portare Dragan a Verona. Disposto a tutto, senza badare ai “schei”, “…parchè questo lè el più forte de tuti”. Non si era sbagliato, ma Stojkovic aveva bisogno di tempo per tornare se stesso e fu una scommessa persa.
C’era una volta Eros Mazzi, ricordate? S’inabissò un giorno grigio di fine ottobre, con la sua Audi nera, nelle acque dell’Adige, diventato quel giorno “cattivo”. Lungadige Attiraglio, cinque minuti dallo stadio, cinque minuti da casa sua. Forse un malore, una distrazione, un destino. La macchina uscì di lato, finì nella corrente. Forse non se ne accorse neppure. Forse era destino se ne andasse prima che il calcio cambiasse. Chissà come ci starebbe nel calcio di oggi. Un calcio che sembra più bello e invece si scopre spesso infinitamente più povero. Di valori. Di sentimenti. Di passione. Di umanità. La sua.
Raffaele Tomelleri