Chievo, ricominciamo? E’ diventato “umano” come gli altri Sbagliato pensare a complotti di Palazzo. Anzi la società in A faceva comodo...

Allora, da dove cominciamo? L’e­state più lunga e più calda del Chievo, è appena all’inizio. Non ba­stava la caduta in B, dolorosa di suo ma accompagnata pure da una voragine finanziaria da panico. Non ba­stava la necessità di piazzare al mercato tutto quello che è vendibile. Col risultato di dover ovviamente rifare una squadra che sarà per forza di cose improvvisata (non necessariamente scarsa, attenzione…) ma sicuramente da verificare sul campo. No, non bastava tutto questo. Come non bastava neppure l’aver in qualche modo lasciato per strada quell’immagine costruita in tanti anni. Dell’isola felice, dell’oasi tante volte invocata dal mondo del calcio, della favola di Veronello, diciamolo, oggi restano ricordi straordinari. Quel­l’isola non esiste più e forse bisogna ripartire da qui per provare a rialzare la testa. Per questo, tra l’altro, non ci voleva l’ennesimo colpo, arrivato stavolta dalla Guardia di Finanza di Cesena. Sequestro di beni, in­dagini sul presidente e su altri tesserati della società, sempre per il “caso plusvalenze”. Perché, se la giustizia sportiva aveva fatto il suo corso, quella ordinaria se­gue tempi nettamente più lunghi. Accuse pesanti, ovviamente da provare: bancarotta fraudolenta, tra l’altro. Accuse che lasciano il segno. Certo, la parola passa ora ai difensori, ai teoremi della difesa, a valanghe di carte, prove, testimonianze che saranno prodotte. I tempi saranno come sempre lunghi, i pareri discordi, le tesi complesse. Innocentisti e colpevolisti a confronto, come sempre in questi casi. Ma… Non è questo il punto. Il punto è un altro e induce a qualche riflessione più profonda. Non è la prima volta che “suona la campana”, anche questo va detto. Il “ciclone plusvalenze” aveva già spazzato via, a torto o a ragione, dal cielo del Chie­vo, quell’immagine di pulizia e (quasi) di allegria, di ingenuità e spensieratezza che negli anni erano stati importanti almeno quanto i risultati del campo. “Ma allora, il Chievo è come gli altri, come noi “umani”…”, era stato il commento sarcastico di molti addetti ai lavori. Certo, come gli altri. La prima verità da metabolizzare è questa. E poi, anche questo va detto, non è più il caso di pensare a complotti di Palazzo, a congiure “perché il Chievo è scomodo al sistema calcio”. Smet­­tiamola, una volta per tutte. Se il Chievo fosse stato scomodo al sistema-calcio, l’avrebbero fat­to fuori molto prima e molto in fretta. E senza andar troppo lontano, l’avrebbero fatto fuori un anno fa, impedendogli (tra l’altro) di ricevere quei 35/38 milioni di euro che spettano (più o meno) a chi gioca in serie A. No, il Chievo non è affatto scomodo al sistema-calcio, anzi. Per tanti anni e altrettanti campionati, gli è sicuramente servito. A far capire che è possibile sognare a…bassa voce. Che si possono scrivere davvero delle favole. Che contano i soldi, ma forse sono più importanti le idee. Poi succede, a volte, che sogni, favole e idee comincino a scarseggiare. Che, in fondo, si cominci a pensare (sbagliando) “…ma se lo fanno tutti, allora…”. Quello è l’inizio della fine. L’altro giorno il presidente del Lecce, matricola di B, ha detto: “La nostra società di riferimento è l’Empoli”. L’Empoli, non il Chievo, che per almeno 15 anni tutte le “piccole” hanno provato ad imitare. Ora non è più così. La campana ha suonato ancora. E come dice Hemingway, “non chiederti mai per chi suona la campana. Essa suona per te”.

L.T.