Coronavirus e peste, che analogie! Il Manzoni raccontò di una malattia che ricorda per molti aspetti quella di oggi

Se qualcuno ci dicesse che il 2020 e il 1630 verranno ricordati come due momenti storici molto simili tra loro, ci si crederebbe a stento. Eppure, poco meno di 400 anni di storia non possono certo fare da spartiacque, non quando si parla dello stesso popolo almeno. Che l’emergenza COVID-19 non sia paragonabile in fatto di gravità alla famosa epidemia di peste nera del 1630, è chiaro a tutti. Mai il Coronavirus ha gettato l’Italia in una situazione che, anche seppur in maniera meno romanzata, ricorda quella della famosa peste manzoniana che colpì la penisola, oltre che tutta l’Europa e gran parte dell’Asia, nel triennio che andò dal 1630 al 1633.
Anche la “peste nera” pare provenisse dalla Cina, diffusasi in seguito alle guerre tra il popolo cinese e il popolo mongolo e arrivata in Italia coi ratti e le loro pulci grazie al fiorente scambio commerciale.
Dalla Cina o dalla Germania? Il Ducato di Milano in quegli anni era infatti territorio della monarchia asburgica e quando discesero i Lanziche­necchi, legioni tedesche del Sacro Romano Impero che attraversarono Milano per dirigersi a Mantova, si ebbe un altissimo numero di contagi di peste. In parole povere, molti storici sono quasi sicuri di poter affermare che la peste non provenisse dalla Cina, ma dalla Germania, grazie all’asse Germania-Italia, esattamente come si suppone circa la provenienza del COVID-19.
Altra analogia che non può non saltare all’occhio è il territorio di diffusione: Milano, Bergamo, Padova, Treviso, Venezia e Verona i territori più colpiti, fino a Mantova e Firenze.
Un’altra somiglianza tra le due epidemie risiede nell’approccio avuto all’inizio, quando ancora non si parlava di pandemia. Le autorità milanesi dell’epoca sottostimarono fortemente la gravità dei primi casi di peste, tanto da invitare tutti i cittadini ad unirsi per processioni religiose in molte città. La quarantena vera e propria che vietava gli assembramenti arrivò ad epidemia già ampiamente diffusa. Quarantena, che valeva anche per le navi ormeggiate nei porti di tutta Italia che arrivavano da altri paesi. Anche il passaggio di persone tra città e regioni venne bloccato, esattamente come si è deciso di fare ai giorni nostri. I trasgressori della legge e delle norme di quarantena, che anche oggi comuni cittadini si sentono in dovere di poter riprendere dai balconi come provetti vigili, esistevano anche nel 1630, solo che venivano messi alla forca dalle autorità con pubblica esecuzione. I malati venivano isolati nelle case, tanto che si legge in numerosi documenti dell’epoca che in alcuni casi si sprangavano dall’esterno porte e finestre di chi era infetto. Nacque in questi anni il lazzaretto, il ricovero specifico per i malati che doveva trovarsi al di fuori delle mura della città
Altra analogia tra le peste e il Coronavirus fu l’incredulità e lo sbigottimento dei medici di fronte ad una patologia talmente nuova e sconosciuta. Disorientati, i medici di allora come quelli di oggi, dovettero andare a tentativi per individuare la cura più efficace per ridurre i contagi e la mortalità. Un altro punto in comune che dimostra come 400 anni di storia non siano altro che un misero giro di lancette in fatto di evoluzione sociale, è la presenza di odio razziale. Se pochi mesi fa molti individui si sfogavano insultando il popolo cinese, tacciato come untore mondiale, nel 1630 la situazione era la medesima, con la differenza che il capro espiatorio erano gli ebrei, i diversi per eccellenza.
E quello che è diverso faceva paura 400 anni fa come oggi. Senza parlare della continua ed irrazionale caccia agli untori. In questo caos si fecero strada numerosi ciarlatani. Se oggi sentiamo ancora qualcuno dire che la vitamina C e il succo di limone possono essere una cura miracolosa, per le vie di Milano e di tutta l’Italia del 1600 numerosi ciarlatani spacciavano unguenti di canfora e timo come elisir di immediata guarigione, che vendevano chiaramente a prezzi folli.
Quello che invece è ben diverso tra le due epidemie è, fortunatamente, il tasso di mortalità. Non ci sono esagerazioni quando si dice che di peste metà popolazione italiana morì, avendo, soprattutto la forma polmonare della malattia, una mortalità di oltre 60%.
Altra differenza col COVID-19 è il fatto che questo è appunto un virus, mentre la peste era causata da un batterio, lo Yersinia pestis, un coccobacillo gram-negativo presente nelle pulci dei topi e che prevedeva lo sviluppo della malattia in 3 forme diverse: bubbonica, polmonare o setticemica. In ogni caso, è subito evidente come ogni periodo di grande sviluppo economico, specie se mosso da avare brame porti ad un alto rischio di epidemie, 4 secoli fa come oggi.
Vanessa Righetti