De Andrè, non solo la musica. I testi, le battaglie, la poesia “Con Guccini Faber è stato il più grande della sua generazione”

11 gennaio 1999, Istituto dei Tumori di Milano: muore Fabrizio De André, stroncato da un tumore a 58 anni. Da diverse settimane giravano voci che il cantautore fosse gravemente malato, tanto che De André fu costretto a cancellare diverse esibizioni del periodo. Dopo un concerto a Roccella Ionica l’anno precedente al decesso, infatti, durante le prove per il tour De André lamentava un forte dolore a torace e schiena e faticava a concentrarsi. Dopo alcuni giorni, ecco la diagnosi, un carcinoma polmonare, che lo portò a interrompere definitivamente il tour ma a proseguire in privato la realizzazione del disco Notturni, che poi non venne mai rilasciato. I familiari nell’ultimo periodo si unirono su un fronte comune, ovvero tenere lo stato di salute del cantante in assoluta riservatezza. «La malattia era stata scoperta a fine estate. – spiegò il figlio Cristiano – Abbiamo sperato nelle cure, ma purtroppo non c’è stato niente da fare: le condizioni di papà erano gravi.»
Così si spense una pagina di storia della musica cantautorale italiana, salutata per l’ultima volta da familiari, amici e fan al funerale di mercoledì 13 gennaio nella Basilica di Santa Maria Assunta in Carignano a Genova. Nella bara, un pacchetto di sigarette (era un fumatore accanito), una sciarpa del Genoa, alcuni biglietti, un naso da clown e un drappo blu. Dopo la cremazione, le sue ceneri furono disperse, per sua volontà, nel Mar Ligure.
COSA RESTA DI LUI. Ma chi era Faber, così come era chiamato dall’amico Paolo Villaggio? Nato a Genova il 18 febbraio 1940, la sua famiglia apparteneva alla borghesia agiata e gli permise di proseguire gli studi fino ad arrivare alla facoltà di legge, anche se si fermò a due esami dalla laurea. Tra gli amici di sempre, Luigi Tenco, Gino Paoli e Paolo Villaggio, e fu proprio quest’ultimo a ricordarlo come «intelligente, geniale, allegro, spiritoso, squinternato, un po’ vanitoso, snob: non era triste, come voleva l’immagine pubblica che gli avevano dipinto addosso. Era un anarchico, grande poeta”. De Andrè è considerato uno dei maggiori esponenti della Scuola genovese, un gruppo di artisti che rinnovò profondamente la musica leggera italiana. Uno “spartiacque” fondamentale, secondo Renzo Arbore: «Il primo a coniugare la semplicità della musica popolare con la raffinatezza dei testi. Il suo merito, rivolgersi senza mediazioni ma anche senza compromessi a un pubblico in grado di apprezzarlo, soprattutto in virtù della costante semplicità delle melodie, come nel caso della Storia di Marinella, tutto basato su due soli accordi.» Dello stesso avviso anche Beppe Carletti, leader dei Nomadi, il quale raccontò che spesse volte suonò le sue canzoni negli anni ’60: «lui era un grande, uno che non metteva mai in fila le cose: quello che aveva da dire lo diceva. Con Guccini, è stato il più grande della sua generazione.»
LE SUE POESIE. Quasi quarant’anni di carriera, quattordici album in studio e singoli che sono rimasti nella memoria di tutti. I suoi testi raccontano la solitudine e l’isolamento dalla società; le prostitute, gli anticonformisti, la guerra, il dolore. Alcuni di questi sono considerati poesie, tanto da essere studiati a scuola in letteratura. Fabrizio De André è perciò considerato uno dei più grandi poeti italiani del Novecento, con 65 milioni di dischi venduti e un posto di diritto nella classifica degli artisti italiani di maggior successi. Beatrice Castioni