Mi è tornata tra le mani, sistemando la libreria di casa, la recente lettera pastorale del nostro vescovo Domenico Pompili sul limite, una profonda riflessione sui nostri muri, i nostri alibi e l’importanza di andare oltre per trasformarsi e crescere. Con i limiti abbiamo a che fare fin da piccoli, perché i bambini e gli adolescenti completano il loro percorso di formazione proprio grazie ai limiti che gli adulti sono capaci di dare loro; si sa come l’assenza di limiti e l’illusione che tutto sia permesso, consentito, sdoganato, porti in realtà all’esplosione di enormi problemi adolescenziali che si ripercuotono poi anche nell’età adulta. Fare i conti con le limitazioni fa parte della nostra natura umana. Ma il senso del limite porta anche, come scrive monsignor Pompili, alla sapienza del limite. E’ importante cioè essere consapevoli dei propri limiti, o come scrive Vittorino Andreoli, delle proprie fragilità. Significa avere la capacità di riconoscere i propri limiti. Accettarli. Per evitare di andare oltre e se non si è preparati, andare verso l’abisso. Il senso del limite richiede di avere la sapienza per andare oltre, al fine di crescere se si hanno le potenzialità per farlo. Ricorrendo al cinema, pensiamo all’episodio di Carlo Verdone nella serie Vita da Carlo, quando decide di accettare il ruolo di direttore artistico di Sanremo senza avere competenze musicali, abbandonando quindi la strada maestra del cinema per andare in un territorio inesplorato. Finisce male, com’è ovvio. Il senso del limite ci può salvare: pensiamo alle escursioni sempre più spericolate e improvvisate in montagna; pensiamo alle follie che si commettono guidando sulle strade e così via. Il limite è amico dell’istinto di sopravvivenza. E il senso del limite regola anche la civile convivenza, consente reciproco rispetto, permette relazioni sane e non tossiche. Ma sono giorni questi in cui il senso del limite è quotidianamente superato. Pensiamo alla campagna elettorale con polemiche scontri e attacchi che vanno davvero oltre ogni limite; pensiamo agli sforzi enormi per le opere olimpiche che rischiano davvero di andare ogni oltre limite dal punto di vista dei tempi, della sostenibilità ambientale, delle promesse, delle difficoltà economiche e organizzative. Pensiamo alle città d’arte prese d’assalto dove l’overtourism è soffocante perché non si riesce a mettere un limite alle presenze; pensiamo alla continua rincorsa verso il gigantismo megalomane che porta alla devastazione ambientale, oppure al mondo dell’economia e dell’impresa dove è sempre più difficile definire il limite tra imprenditori e padroni, tra investitori e speculatori, tra consapevolezza del proprio ruolo nella società civile e affascinazione del potere egocentrico. Ma il limite, come scrive ancora il vescovo Domenico, non può e non deve diventare l’alibi delle nostre azioni, le nostre fragilità non possono essere il sipario dietro il quale nascondersi per non assumerci le nostre responsabilità e non aprirci all’ascolto, alla consapevolezza che porta alla trasformazione e alla crescita. Il limite va accettato perché noi siamo limitati. Ma il limite è occasione di trasformazione e di crescita. Dipende dal grado di maturità di ciascuno di noi perché come diceva Kant il limite è una caratteristica fondamentale della condizione umana. La consapevolezza della propria finitezza è vista come essenziale per sviluppare una postura morale e un rapporto più profondo con sé stessi, gli altri e il mondo. Ma appunto serve la consapevolezza dei propri limiti per capire se li si può sfidare. E se si perde il senso del limite, si rischia di finire nel senso del ridicolo. O nella tragedia.



