E’ incolore la Anna firmata Netflix Una vicenda realmente accaduta, che sullo schermo perde mordente: è una delusione

È iniziato tutto con una torbida ed appassionante vicenda realmente accaduta, come spesso accade con le serie tv. O, per essere più precisi, tutto è nato dalla cliccatissima indagine della giornalista Jessica Pressler, pubblicata sul New York Magazine nel maggio del 2018. Non molto tempo dopo, come da copione, la sciacalla delle serie tv Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy, Bridgerton) si è avventata sulla succulenta preda con l’intenzione di accaparrarsi i diritti televisivi: è nata così Inventing Anna, miniserie Netflix che in nove episodi tenta di ripercorrere l’ascesa e la caduta della sedicente mondana ereditiera Anna Delvey.

Chi è Anna Delvey?. Nata in Russia nel 1991 da padre camionista e madre commerciante, appena adolescente Anna Sorokin si trasferisce in Germania con la famiglia alla ricerca di una vita migliore. Timida e riservata, la giovane sviluppa un’ossessione per il mondo della moda, che la porta a intraprendere un tirocinio presso una rivista di haute couture, prima a Parigi e poi a New York. È proprio nella Grande Mela che Anna comincerà a vestire i panni di Anna Delvey, suo snob e facoltoso alter ego e protagonista di una realtà raffinata e scintillante. Determinata a fondare la Anna Delvey Foundation – un club esclusivo riseravato ai ricchissimi della Manhattan più fashion – ma priva di mezzi economici, la truffatrice in erba comincia ad intessere una fitta rete di inganni capaci di abbindolare perfino i professionisti, gli avvocati e le banche più quotate della città. Tuttavia, chi come Icaro vola troppo vicino al sole indossando ali di cera ¬– seppur firmate, come nel caso della nostra eroina – è destinato ad una triste fine: ben presto Anna si ritrova sul lastrico e i suoi stessi imbrogli la travolgono in una bufera giuridico-mediatica che porrà fine ai suoi sogni di gloria.

Alte aspettative, scarsi risultati. Una protagonista carismatica, una vicenda ai limiti del paradosso, la New York dove tutto è possibile: gli ingredienti perfetti per un cocktail gustoso ed esplosivo c’erano tutti, eppure Shondaland è riuscita a servirci una Coca-Cola calda e sgasata. Non bastano una storia interessante e lo stupore provocato nello spettatore dall’ingenuità dell’alta classe newyorchese a fare di Inventing Anna un buon prodotto d’intrattenimento. Se infatti il soggetto pareva promettere grandi cose, la stesura della narrazione si focalizza su sfumature insulse, risultando povera e ridondante ai limiti del tollerabile. Insopportabile poi l’eccessiva drammatizzazione dei fatti, così come la regia decisamente troppo scarna. Tutto questo di certo non aiuta la performance di Julia Garner (la strepitosa Ruth di Ozark), la quale porta sullo schermo un’Anna Delvey statica, lagnosa e incolore.
Poteva fare la differenza la decisione di affidare la narrazione alla giornalista Vivian Kent (Anna Chlumsky), ma così non è stato: anzi, è proprio lo sguardo pietistico della reporter tutta intenta a portarci dalla parte della criminale a farci chiedere: era proprio necessario sfornare l’ennesimo format immolato al riscatto e alla redenzione di delinquenti?

VOTO 5

Martina Bazzanella