Quel 16 settembre 1984 sullo stadio Bentegodi c’erano due colori: il giallo del sole ancora estivo incendiava l’azzurro terso del cielo. Giallo e blu. Un segno. Un destino. Gialloblù come le bandiere e gli striscioni dei tre quarti dello stadio. Uno spicchio ospitava la tifoseria azzurra del Napoli. Il Napoli di Maradona. Il pibe de oro al suo debutto. Attesissimo. Osvaldo Bagnoli della Bovisa aveva già studiato la mossa vincente della partita. Il piccolo Maradona, passo breve, grande fantasia, sarebbe stato piantonato dal panzer tedesco Hans Pieter Briegel. Alto quasi 1 e 90, un corazziere con passo lungo, tanta forza, poca eleganza. Come lo ribattezzò un collega in tribuna stampa: un armadio con le rotelle che andava su e giù per il campo. Beh in quell’armadio Maradona è rimasto chiuso per tutta la partita e il tedesco andò pure in gol. Ancora oggi Briegel che compie 70 anni ricorda quella partita e quella marcatura: “Bagnoli mi disse tre parole: Tu domani Maradona”. Altro che psicologie e pretattiche. Comandava Osvaldo e si eseguiva. Finale 3 a 1 per il Verona. Negli spogliatoi a fine partita, una baraonda. Il caos. Mica era come adesso che i giornalisti intervistano chi decide la società o chi gli mandano in sala stampa. Noi cronisti si scendeva negli spogliatoi, nel seminterrato del Bentegodi a forza di gomitate nei fianchi, spintoni e telecamere che ti colpivano nelle tempie. Una bolgia. Verona-Napoli era la partita di cartello, inviati importantissimi della RAI e dei quotidiani nazionali, inviate delle televisioni che si presentavano con cappelli enormi e veletta, che nemmeno all’ippodromo di Ascot con i Windsor, ed entravano direttamente negli stanzoni dove i giocatori si stavano facendo la doccia e cambiando. E dallo stanzone del Napoli, fumante di vapori, esce lui, Diego Armando Maradona. Si trova davanti una folla di giornalisti, microfoni in bocca e telecamere in faccia. Ricordo ancora lo sguardo spaurito di questo ragazzo che si chiede: ma dove sono capitato, cosa vogliono da me? Dopo 90 minuti con Briegel adesso pure questo devo sopportare? Una grandinata di domande. E lui un po ‘sorpreso e un po’ spaventato ma onesto ammette di aver visto un Verona muy bueno, muy bueno. Eh si c’era ancora l’abitudine di riportare l’italiano maccheronico dei giocatori stranieri arrivati in Italia. Brutta abitudine. Ma quella fu la prima intervista dopopartita a Maradona, il primo campione di quell’anno d’oro a inchinarsi al Verona di Bagnoli. Cominciava la cavalcata verso lo scudetto del 12 maggio 1985, un anno di trionfi, di vittorie clamorose in trasferta, di imprese storiche favorite forse anche dalla crisi dei grandi club e come sostiene qualcuno dal sorteggio arbitrale che non favoriva nessuno e infatti non è più stato ripetuto. Una stagione irripetibile, appunto. Un inverno quello tra l’84 e l’85 che viene spesso ricordato per il grande gelo, le eccezionali nevicate, ma a Verona ci si scaldava con la fede gialloblù, le vittorie dell’Hellas e la morosa.
MB (seconda puntata – la precedente è stata pubblicata il 30 aprile)