Eriksen, paura e rispetto. L’esempio della Danimarca che ha commosso l’Europa NONSOLOCALCIO. Che cosa ci resta dell’Europeo

Neanche questo è solo calcio, è molto di più. C’è tutto, dentro questa immagine, che ha segnato i primi giorni dell’Europeo e che resterà per sempre nella memoria collettiva.
C’è una squadra, anzi, una famiglia, come spesso diventano le squadre, per uno di quei miracoli che lo sport riesce ancora a regalare.
C’è una squadra che piange e che prega, si protegge e si dispera, per “difendere” un amico che rischia la morte. Sul campo. E allora, tutti uniti, uno solo di loro guarda quello che sta succedendo, è il capitano, il “fratello maggiore”, Kjaer.
Gli altri no, per rispetto, si girano dall’altra parte. Attimi senza fine, mentre “dietro di loro”, i medici riportano in vita Eriksen, la stella della Danimarca, colpita da un malore. La morte a un passo. Allora, niente ha più senso, nè l’Europeo, nè il calcio, un gol, una sconfitta.
Allora c’è solo dolore, speranza, coraggio, disperazione. Voglia di scappare eppure restare, “per giocare per lui”.
Forse non è solo un caso che la Danimarca sia arrivata alle semifinali e abbia pure messo paura all’Inghilterra. No, non era tra le favorite e forse neppure tra le outsider. E anche se lo fosse stata, lo doveva a quel suo numero 10, “il giocatore più forte che abbiamo”.
Però, quell’assenza e quel dolore sono diventati uno motivo in più. Per essere squadra, per non mollare mai, per giocarsela con tutti.
E allora, una squadra normale diventa speciale. Allora, ecco che la Danimarca liquida il Galles (4-0), fa fuori la Repubblica Ceka (2-1), spaventa l’Inghilterra che forse vince per un “rigorino” inventato.
“Lo abbiamo fatto per Eriksen” dicono tutti. “Abbiamo giocato per lui, come fosse in campo con noi”. Anche questo è il calcio, che spesso non è solo quello che si vede sul campo. C’è un prima e un dopo. Ci sono sentimenti ed emozioni. E’ l’anima dello sport.
Raffaele Tomelleri