Garrincha, un triste addio All’alba del 21 gennaio 1983 se ne andava in solitudine il fuoriclasse brasiliano

La sera nel 20 gennaio del 1983 all’ospedale Alto da Boavista sopra Rio de Janeiro, due medici, Ana Helenio Bastos e Maria Beatriz Carneiro da Cunha mettono Garrincha su una sedia a rotelle e lo trasportano al padiglione Santa Teresa, quello riservato agli alcolizzati. Gli somministrano del siero glicosado, Griplex, Lasix e vitamina B e dicono agli infermieri di legarlo al letto, se necessario.
Garrincha è lasciato addormentato e solo, la stella più solitaria di quella notte estiva.

Un edema polmonare lo uccide a metà dell’alba. Alle sei del mattino del 21 gennaio 1983, l’infermiere Aimorè chiamò la dottoressa Fatima che constatò il decesso. Lei prese prese carta e penna e informò la direzione dell’ospedale. Muore così Manoel Dos Santos, detto Garrinchia, uno dei pochi brasiliani che non ha bisogno di presentazioni. Anche chi non sa di football sa che fu un genio del dribbling, eroe di due campionati del mondo, l’uomo più amato dell’intero Brasile. Quando muore Garrincha, a 49 anni, nella miseria e nell’abbandono, un sentimento di colpa di abbatte su tutto il Brasile, che ancora una volta si dimostra ingrato con uno dei suoi figli più ingenui e più amati.

La sua stella splende ai Mondiali di Svezia, in cui si rivela al mondo Pelè, ma in cui Garrincha dà spettacolo.
In Svezia salta le prime due partite perché la sera prima lo trovano ubriaco. Nella terza, in tre soli minuti distrugge letteralmente l’Unione Sovietica. Mezza difesa avversaria dribblata, una traversa, una paratissima di Jascin e una palla gol (realizzata) a Vavà. E’ Mondiale, ma tutti osannano Pelè, la diciassettenne meraviglia nera.

Quattro anni dopo in Cile l’infortunio a Pelè nella prima partita responsabilizza ancor di più Garrincha che fa tutto: il centrocampista, l’attaccante e il goleador. Garrincha gioca la finale e risulta decisivo come in tutte le altre gare in Cile. In Cile la stella di Garrincha è all’apice, ma ben presto inizia la parabola discendente.

E’ alcolizzato da tempo, i compagni non lo aiutano di certo, è lasciato solo, ricade nella miseria più nera e l’alcolismo lo divora accaduto anni prima e aveva investito il padre, scampato alla morte per miracolo. La parabola discendente di Garrincha non rallenta nè si ferma. Tra storie d’amore sempre più tristi e malinconiche, ha figli in tutto il mondo, uno persino in Svezia, nato in quel mondiale del ‘58. Garrincha precipita negli abissi della miseria più nera e dell’abbandono. La morte arriva pietosa all’alba di quel 21 gennaio del 1983 ad alleviargli la solitudine. Ma quella morte è una ferita ancora aperta non solo in Brasile.