Ghedina e la voglia di non mollare mai. L’ex discesista ammette che i lavori per le Olimpiadi stanno procedendo ”all’italiana”

Kristian Ghedina non è solo il simbolo della velocità, ma un modo di vivere lo sport, e forse anche la vita. Con la sua ironia contagiosa e la schiettezza di chi ha conosciuto la montagna da vicino, il ”Leone di Cortina” ha ripercorso, durante un incontro svoltosi a Castelnuovo, la sua carriera tra adrenalina, dolore e rinascita, con la naturalezza di chi non ha mai perso il gusto di sorridere anche davanti alle sfide più dure. Tutto parte da un gesto diventato leggenda: la celebre ”spaccata” sul salto finale della Streif di Kitzbühel, nel 2004. Non fu una trovata per farsi notare, né un gesto pensato per i riflettori – allora i social nemmeno esistevano-ma solo una scommessa con suo cugino. «Mi aveva detto che combinavo solo guai», racconta ridendo, «e io, per scherzo, gli promisi che gli avrei dimostrato il contrario. Alla fine, la posta in gioco era una pizza e una birra.» Quel gesto goliardico, fatto per gioco, diventò un’icona dello sci mondiale e il simbolo del suo carattere: istintivo, coraggioso e capace di rendere leggera anche la tensione di una discesa a 150 all’ora. Dietro il sorriso, però, ci sono anni di sacrifici e di dolore. Ghedina lo sa bene: nello sci basta un infortunio per mettere fine a una carriera. «Il vero campione non è quello che vince, ma quello che riesce a rialzarsi.» A Kitzbühel, una delle piste più dure del mondo, si fratturò due costole in una caduta rovinosa. Due settimane dopo era di nuovo al cancelletto di partenza, a Cortina, e vinse. «La forza, a volte, è tutta nella testa.» Tra i momenti più intensi della sua vita, Ghedina ricorda la perdita della madre, quando aveva solo quindici anni. Era la prima maestra di sci donna di Cortina, una pioniera, una figura fondamentale per lui. «Era una donna forte, assomigliava tanto a me. Quando se n’è andata ho pensato di smettere. Poi ho capito che dovevo continuare per lei.» Pochi giorni dopo partecipò a una gara di Super G a Obergurgl. Disse al padre: «Corro per la mamma.» E vinse. Quella vittoria fu la sua rinascita. Oggi, parlando delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, Ghedina si illumina. «Per me sono un po’ mie, perché Cortina è casa mia.» Ammette che i lavori procedono ”all’italiana”, spesso all’ultimo minuto, ma resta fiducioso: «Alla fine ce la faremo, come sempre. La pista Vertigine è già pronta, è il fiore all’occhiello di Cortina.» Aggiunge però che l’obiettivo non deve essere solo l’evento: «Non facciamo come altri Paesi che hanno costruito cattedrali nel deserto. Queste opere devono servire anche dopo, per il turismo, i giovani, la comunità.» Parlando del presente, riconosce che oggi lo sci italiano vive soprattutto grazie alle donne, protagoniste in campo internazionale. «Ma serve investire sui giovani. Nella discesa libera non tutti sono portati: ci vuole testa, coraggio e un pizzico di follia.» Ricorda i grandi del passato, da Zeno Colò a Thöni fino a Tomba, come esempi di talento e determinazione. «Non serve nascere in montagna per diventare campioni: basta avere voglia di non mollare mai.» Il messaggio finale è dedicato proprio ai ragazzi. «Lo sci è sacrificio, ma anche passione. Se hai talento, costanza e voglia di faticare, puoi arrivare ovunque. Non smettere mai di crederci.»