I giudici spengono i canapa shop Si riaccende il dibattito dopo la sentenza della Cassazione

Per la Cassazione la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo di prodotti “derivati dalla coltivazione della cannabis”, come le foglie, l’olio, le infiorescenze e la resina. Insomma, la cosiddetta “cannabis light”, quella venduta negli specifici punti vendita è illegale, con la conseguente chiusura dei negozi specializzati. A Verona il sindaco Federico Sboarina esulta: “Siamo pronti per intervenire contro il dilagare dei cannabis shop. Lo avevo detto un mese fa e ora con la sentenza della Cassazione so che abbiamo lo strumento necessario per farlo. Dichiarare illegale la vendita dei derivati” ha aggiunto “ci permette di presidiare questo fenomeno, rispetto al quale non ho mai nascosto la preoccupazione per la tutela dei giovani. Adesso so che possiamo intervenire anche in risposta alle tante segnalazioni di genitori allarmati. Con fermo che questo è tra le priorità della mia amministrazione” ha concluso Sboarina. Sull’argomento sono intervenuti anche Toni Brandi e Jacopo Coghe, gli organizzatori del Congresso delle Famiglie. “E’ stata chiarita la linea di confine tra il lecito e l’illecito” hanno commentato. “E’ reato la commercializzazione dei prodotti derivati dalla cannabis, e non esiste distinguere tra light, cioè a basso contenuto di Thc e il resto. Grazie alla giustizia è chiaro ciò che fa bene alla salute degli italiani e ciò che non lo fa. Si conferma giusta la battaglia portata avanti dal ministro Fontana e dal premier Salvini. Piuttosto ci aspettiamo un mea culpa dal Ministro della Salute Giulia Grillo che aveva detto che i cannabis shop non vendevano droga”. Federcanapa però non ci sta e in una nota dichiara che “la soluzione delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione non determina la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa. Il testo della soluzione dice chiaramente che la cessione, vendita e in genere la commercializzazione al pubblico di questi prodotti è reato ‘salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante. Da anni” ha proseguito Federcanapa “la soglia di efficacia drogante del principio attivo Thc è stata fissata nello 0,5% come da consolidata letteratura scientifica e dalla tossicologia forense. Pertanto non può considerarsi reato vendere prodotti derivati delle coltivazioni di canapaindustriale con livelli di Thc sotto quei limiti”. Alcuni negozi hanno già chiuso in via precauzionale: “Il governo ci aiuti” dicono gli esercenti “altrimenti siamo rovinati”. Con oltre 10 mila addetti, 1.500 nuove aziende, altre 800 agricole e un fatturato di circa 150 milioni all’anno nel solo 2018, quello della cannabis light è uno dei settori più in crescita dell’economia italiana.

La nota di Coldiretti

Non solo fumo, la coltivazione della cannabis in Italia riguarda soprattutto esperienze innovative, con produzioni che vanno dalla ricotta agli eco-mattoni isolanti, dall’olio antinfiammatorio alle bioplastiche, dai cosmetici all’alimentare. In Italia nei terreni coltivati a cannabis sativa, aumentati di 10 volte in 5 anni,sono centinaia le aziende agricole che hanno investito dalla Puglia al Friuli.Tante sono infatti le varianti della canapa nel piatto, dai biscotti e dai taralli alpane di canapa, dalla farina di canapa all’olio, ma c’è anche chi usa la usa per produrre ricotta, tofu e una gustosa bevanda vegana, oltre che la birra. Dal -la canapa si ricavano oli usati per la cosmetica, resine e tessuti naturali ottimisia per l’abbigliamento, poiché tengono fresco d’estate e caldo d’inverno,sia per l’arredamento, grazie alla grande resistenza di questo tipo di fibra. Se c’è chi ha utilizzato la canapa per produrre veri e propri eco-mattoni da utilizzare nella bioedilizia per assicurare capacità isolante sia dal caldo che dal freddo, non manca il pellet di canapa per il riscaldamento che assicura una combustione pulita. In realtà è un ritorno per una coltivazione che fino agli anni’40 contava in Italia quasi 100 mila ettari,classificandosi come secondo maggior produttore al mondo, dietro all’Unione Sovietica.