I nostri soldi. Nella UE restiamo i più tartassati Quello appena trascorso è stato il primo fine settimana nel quale siamo stati liberi da tributi e balzelli. Il 6 giugno è scoccato (ovviamente in linea puramente teorica) il giorno di liberazione fiscale. Ma per 162 mila evasori veneti è un giorno come un altro

Quello appena passato è stato il primo fine settimana del 2025 libero dalle tasse. Infatti, secondo l’annuale elaborazione compiuta dall’Ufficio studi della CGIA, il 6 giugno è scoccato, ovviamente in linea puramente teorica, il giorno di liberazione fiscale o, come lo chiamano negli Stati Uniti, il tax freedom day. In altre parole, dopo ben 156 giorni dall’inizio di quest’anno, sabati e domeniche compresi, anche il contribuente medio veneto termina di lavorare per pagare l’armamentario fiscale italiano che, in particolare, è costituito dall’Irpef, dall’Ires, dall’Irap, dall’Iva, dalle addizionali, dai contributi previdenziali, dalle tasse locali. Versamenti che sono necessari per far funzionare la macchina pubblica: per consentirci, ad esempio, di essere curati da una struttura ospedaliera quando ci ammaliamo, di andare a scuola/università durante l’età giovanile. Insomma, dopo oltre cinque mesi in cui la nostra attività lavorativa è servita per onorare le richieste del fisco, da ieri e sino al prossimo 31 dicembre ciascun italiano eserciterà la propria professione per vivere e per migliorare la propria condizione economica. Un puro esercizio di scuola, tiene a precisare la CGIA, che però ci consente di misurare in maniera del tutto originale il peso fiscale che grava su tutti noi. Per 162mila evasori veneti, il tax freedom day è un giorno come un altro Tra i veneti che sono completamente disinteressati alle scadenze tributarie e contributive ci sono sicuramente gli evasori. Per loro il giorno di liberazione fiscale non rappresenta alcunché, visto che durante l’anno non pagano alcuna tassa all’erario. Secondo le ultime stime dell’Istat riferite al 2022, sono quasi 162.000 le persone fisiche presenti in Veneto che sono occupate irregolarmente come dipendenti o abusivi. Sono uomini e donne che lavorano completamente in nero o quasi; quando operano in qualità di subordinati non sono sottoposti ad alcun contratto nazionale di lavoro o, se lavorano in proprio, in possesso di una partita Iva. In Italia sono quasi 2,5 milioni e il numero più elevato è presente in Lombardia con 379.600 unità. Seguono i 319.400 residenti nel Lazio e i 270.100 abitanti della Campania. Se, invece, calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero di occupati irregolari e il totale degli occupati di ciascuna regione, in Calabria registriamo il tasso più elevato pari al 17 per cento. Seguono la Campania con il 14,2, la Sicilia con il 13,7 e la Puglia con il 12,6. La media italiana è del 9,7 per cento. In UE siamo tra i più tartassati Il giorno di liberazione fiscale non costituisce un principio assoluto, ma un esercizio teorico che dimostra empiricamente, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto sia eccessivo il carico fiscale che grava sugli italiani. Una specificità che emerge in misura altrettanto evidente anche quando confrontiamo la nostra pressione fiscale con quella dei paesi UE. Nel 2024, infatti, la pressione fiscale in Danimarca era al 45,4 per cento del Pil, in Francia al 45,2, in Belgio al 45,1, all’Austria il 44,8 e in Lussemburgo al 43. L’Italia si è posizionata al sesto posto tra tutti i 27 paesi dell’Unione Europea con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Per una regione come il Veneto che ha nell’export uno dei suoi punti di forza, scontare quasi 2 punti di pressione fiscale in più rispetto ai tedeschi e quasi 5,5 punti aggiuntivi nei confronti degli spagnoli è un handicap che penalizza non poco le nostre imprese, in particolare quelle di piccola dimensione.