Klaus “il tedesco” spegne 70 candeline Il ritratto di Bachlechner, coriaceo difensore anni ‘70, colonna di quel Verona

Lo chiamavano “il tedesco”, troppo facile. Veniva da Brunico, Klaus Bachlechner, classe ‘52. Quando lo videro in campo, “trapanare” gli avversari, venne più facile ancora chiamarlo Black and Dekker. Un mastino, uno stopper vecchio stampo, gli dicevano “prendi Anastasi, Boninsegna, Pulici…” lui li prendeva in consegna e li mollava al 90’. Non aveva bisogno di picchiare, proprio no. Lui se ne stava incollato, avete presente le figurine Panini all’album? Ecco, lui era così, grintoso, deciso, mai cattivo. Se serviva, “teneva” l’avversario, non aveva bisogno di entrate in tackle o di “uscite” alla disperata. E non era male, attenzione, neanche quando impostava. Anche se in quel calcio, il difensore doveva difendere, punto. Cosa che gli riusciva molto bene, se è vero che le grandi lo inseguono. Lo prende il Bologna, poi va all’Inter dove vince una Coppa Italia. Quindi ancora Bologna, per gli ultimi sprazzi della sua bella storia di mastino. Gli anni più belli? Ma sì, quelli di Verona, nel Verona di Zigoni e Luppi, Mascetti e Valcareggi. La leggenda vuole ci fosse anche lui nel “giorno della pelliccia”, quando quel matto di Zigo la combinò grossa. “Se mi date 50 mila lire, mi metto la pelliccia…” racconta sempre. “Quando vidi che ci stava anche Klaus, capii che me la dovevo mettere. Aveva il braccino corto, lui…”, strizza l’occhio Zigo. Vero, falso, chissà. La leggenda di Zigo, la favola di Klaus.