L’intervista. Il vescovo e le tre emergenze di Verona Il capo della chiesa veronese traccia un primo bilancio: “città di grande bellezza e con grandi contraddizioni. I giovani sono ritenuti irrilevanti, il lavoro femminile è in ombra e gli stranieri non sono ancora una risorsa”. “Unire cultura e business”

Maurizio Battista

I giovani considerati irrilevanti, le donne che hanno ruoli ancora marginali, gli immigrati che non diventano risorsa per il lavoro. In una città ricca, benestante, molto si può migliorare per evitare che la forbice sociale continui ad allargarsi anche qui. E’ il messaggio che arriva dal vescovo, Domenico Pompili: oggi, primo settembre, sono 11 mesi dal suo arrivo in città. Uomo di grande comunicazione, pragmatico, con lo sguardo che va oltre i soliti perimetri, alle prediche preferisce i fatti concreti, senza paura di metterci la faccia o di sporcarsi le mani. Il vescovo, per tutti don Domenico, è così, diretto. Arrivato dalla diocesi di Rieti su incarico, con lettera, di papa Francesco, nato nel 1963 ha festeggiato nella sua nuova cattedra i 60 anni.
Dopo quasi un anno, don Domenico traccia con la Cronaca di Verona un primo bilancio della sua vita veronese, sempre con un occhio di riguardo agli ultimi, alle emergenze sociali, alle difficoltà delle famiglie ma anche ai problemi di chi deve governare la cosa pubblica. Una città bella, Verona, ma sicuramente non facile se la si conosce in profondità. E il vescovo questa profondità l’ha già capita. E infatti in questo dialogo lancia un allarme: attenzione, la forbice sociale si sta allargando anche qui. I giovani, annota don Domenico “sono irrilevanti” e questa condizione li rende frustrati. Le donne fanno fatica a uscire dal cono d’ombra storico. Gli immigrati potrebbero essere preziosi per il lavoro ma sono introvabili. Per fortuna c’è un terzo settore in grande attività e un’economia in salute ma per la crescita della città si devono coniugare sempre cultura e business, avvisa don Domenico, “mai l’una senza l’altro”.
Don Domenico, oggi sono 11 mesi dall’insediamento a Verona avvenuto nell’ottobre scorso. Che impressione le ha fatto Verona con le sue bellezze, le sue ricchezze ma anche le sue forti contraddizioni? Che bilancio può fare di questi primi mesi?
La sensazione camminando per strada nel centro storico di Verona è in effetti di una grande bellezza, a qualsiasi ora del giorno o della notte. C’è un tale impasto di storia e di arte che si resta abbacinati. Dovunque si posi lo sguardo è sempre un belvedere. Se poi uno guarda alle cilindrate delle macchine o ai negozi dello shopping ci si accorge subito che si tratta di in una realtà mediamente ricca e decisamente avanzata, anche come qualità dei servizi”.

“Giovani, donne e stranieri: fare di più per evitare che cresca la forbice sociale”. Don Domenico: “I ragazzi sono considerati irrilevanti e questo genera frustrazione”. “Lavoro femminile ancora nel cono d’ombra”. “Immigrati, manodopera necessaria”

“Certo”, prosegue don Domenico, “non mancano segnali – e non solo in periferia – che non è così per tutti e per tutto. Anche Verona riflette l’allargamento di quella forbice sociale che ha portato ad un impoverimento del ceto medio e ad un blocco di quella crescita economica che si pensava inarrestabile. Ciò non toglie che la Città e la provincia resti anche per la sua posizione geografica a cavallo tra diverse regioni uno degli snodi del Nord dell’Italia, inserita perfettamente nel quadrante europeo. Da questo punto di vista le prospettive sono interessanti e lasciano immaginare un futuro economico ancora promettente”.
C’è molto benessere da un lato ma c’è anche molta difficoltà sociale, come testimonia la Caritas e altre organizzazioni sociali. Non solo stranieri ma anche tanti italiani si sono ritrovati, tra bollette impazzite per luce e gas e caro vita per l’inflazione a chiedere aiuto. C’è una consapevolezza sufficiente secondo Lei tra i veronesi per aiutare chi è in difficoltà?
“Quel che colpisce, soprattutto agli occhi di uno che viene dal Centro Italia, è la grande energia che muove il lavoro, nelle sue diverse declinazioni. Dall’agricoltura alla tecnologia più avanzata si percepisce uno stile concreto che non ammette distrazioni. Ciò nonostante esistono anche qui sacche di povertà che non riescono ad integrare quote di popolazione, a rischio di essere estromessa dal ciclo produttivo e ancor prima dalla vita. Sono soprattutto tre gli ambiti più esposti a questo rischio: i giovani, le donne, gli immigrati. I giovani sono irrilevanti e avvertono con frustrazione questa condizione. Le donne non sono ancora fuoriuscite dal cono d’ombra di una cultura del lavoro che le penalizza in termini di reddito, ma ancor prima di opportunità. Gli immigrati a fronte di una crescente scarsità della manodopera sono di passaggio, spesso necessari, ma introvabili. Rispetto a questa difficoltà sociale ed economica vedo tanta gente che dal livello imprenditoriale a quello istituzionale è seriamente preoccupata di intercettare queste condizioni di vita da aiutare. A livello di società civile poi ho scoperto diverse esperienze di volontariato non solo cattolico che garantiscono momenti di accompagnamento per i più deboli e spazi di socializzazione per tutti. In ogni caso, si tratta di un terzo settore che lascia immaginare nuovi scenari con cui fare i conti”.

“Fiera, Arena, aeroporto: unire cultura e business”. Il vescovo: “Contro violenza e bullismo degli adolescenti la prevenzione è una scelta obbligata che chiama in causa tutti: lavorare insieme”

Una città che è descritta come culla di un certo estremismo nero e insieme terra di missionari. don Domenico, si è trovato di fronte a questa contraddizione?
Nella mia memoria Verona è sempre stata associata al famoso processo che si svolse a Castelvecchio e che portò alla fucilazione di quelli che avevano messo in discussione il regime fascista.
Esiste una consolidata tradizione storica che fa riferimento ad una certa ipoteca conservatrice. Verona è al contempo la patria di un cattolicesimo sociale molto vivace che ha avuto figure di assoluta grandezza come mons. Comboni e don Calabria. Se le mura di Verona che si alternano nelle diverse tipologie antica, medievale e moderna, dicono di un atteggiamento difensivo, i suoi ponti che sono pure numerosi suggeriscono una attitudine al dialogo e al confronto che hanno permesso a generazioni di veronesi, donne e uomini, di andare in capo al mondo per portare col Vangelo una occasione di promozione e di sviluppo umani.
Lei in occasione di san Zeno ha invitato al confronto costruttivo. È stato seguito e il suo messaggio è stato accolto?
Mi è parso di cogliere una discreta convergenza da parte di tutti. Nessuno è così fuori dalla realtà dal pensare che lo scontro su ogni cosa porti a qualche risultato. Il problema è quando si entra nel merito delle questioni. Ce ne sono alcune che richiedono una visione comune e possibilmente un affronto coeso.
Penso, anzitutto, all’educazione e alla cultura, soprattutto in relazione agli adolescenti. Se non vogliamo solo imprecare contro certi fenomeni di violenza e di bullismo, la prevenzione è una scelta obbligata che chiama in causa tutti e dalla stessa parte. Penso alle infrastrutture che qui sono di livello, ma vanno sempre implementate, come quando si pensa all’aeroporto.
Penso anche all’Arena e alla Fiera, che dicono di mondi importanti che collocano Verona al centro del mondo, declinando insieme cultura e business. Mai l’una senza l’altro.

“Immigrati, serve un percorso di crescita”. Il vescovo: “Non tutti possono essere accolti, ma chi viene accolto va integrato”

Don Domenico, gli immigrati pongono una questione scottante visti gli aumenti degli sbarchi e le difficoltà a gestire i centri per i rifugiati da parte dei Comuni. Cosa pensa di questo fenomeno?
“L’immigrazione non è una questione politica, ma un fenomeno umano. Lo conferma la cronaca concitata di questi ultimi mesi dove è cresciuto enormemente il numero degli immigrati, anche se è cambiato lo scenario politico. Il che pone l’esigenza di affrontare il problema non in modo strumentale, ma in modo reale”.
“E realisticamente”, prosegue il vescovo Pompili, “non tutti possono essere accolti, ma tutti quelli che si accolgono vanno integrati. Non basta spostarli da un centro a un altro senza darsi pensiero di un percorso che li faccia crescere e maturare nella piena consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri”.
“L’immigrazione, d’altra parte, -prosegue il vescovo – è l’altra faccia della globalizzazione. Non si può onestamente pensare che le merci si scambino, che si delocalizzino le attività industriali, che si circoli per il mondo come per il cortile di casa e tutti gli altri invece debbano starsene immobili a casa loro. Noi che giudichiamo severamente tutti quelli che ci hanno preceduto e tendiamo ad azzerare il passato, saremo giudicati molto severamente per aver scambiato un fenomeno epocale con una polemica di basso profilo”.

mb