Lotta al Covid, il futuro passa da qui All’università si cerca di capire come il sistema immunitario risponda alla vaccinazione

Dall’inizio dell’epidemia Covid-19 la domanda che subito ci si è posti era: quanto durerà la risposta immunitaria delle persone che hanno contratto la malattia? Il vero problema era, e in certa misura lo è ancora, che non si hanno certezze su come misurare la durata di questa protezione. Una risposta arriva ora da uno studio dell’ateneo di Verona, pubblicato sulla rivista del gruppo Nature Communications Medicine dal titolo “Serology study after BTN162b2 vaccination in participants previously infected with SARS-CoV-2 in two different waves versus naïve”.
Il team coordinato da Donato Zipeto e Luca Dalle Carbonare e formato da Maria Teresa Valenti, Zeno Bisoffi, Sara Mariotto, Sergio Ferrari ed Ernesto Crisafulli, dei dipartimenti di Neuroscienze, biomedicina e movimento, Medicina e Diagnostica e Sanità pubblica dell’ateneo, in collaborazione con i ricercatori dell’ospedale Sacro Cuore di Negrar, del San Raffaele di Milano, dell’università di Trento e della start-up Covi2 Technologies, ha provato a capire come il sistema immunitario risponda alla vaccinazione Covid-19, e quali anticorpi vengano stimolati, confrontando persone che avevano contratto il virus con altre che non si erano mai ammalate.
Gli autori dello studio si sono chiesti se e come il vaccino fosse capace di stimolarle. E la risposta è stata in parte positiva e in parte negativa. Lo stimolo è efficace, perché esse compaiono addirittura prima delle IgG subito dopo la prima dose, ma non sembrano essere in grado di bloccare il virus. In questo caso si entra in un’area assai complessa dell’immunologia in cui, ciò che è necessario sapere è quale tipo di anticorpi vengono indotti in base alla via di somministrazione del vaccino.
È anche verosimile che lo stesso vaccino, somministrato a soggetti che non hanno avuto il Covid-19, possa comportarsi nello stesso modo, in altre parole stimolare una risposta protettiva che rimanga per molto tempo, anche se “nascosta” sotto una calma apparente.
La ricerca è frutto di una proficua collaborazione fra i dipartimenti di Neuroscienze, biomedicina e movimento, di Medicina e di Diagnostica e Sanità pubblica dell’università di Verona, il Policlinico Borgo Roma di Verona, il dipartimento di Malattie infettive e tropicali e Microbiologia IRCSS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, il CIBIO dell’università di Trento, l’Istituto scientifico San Raffaele di Milano e la startup Covi2Technologies Srl di Novara. È stata finanziata dalla Brain Research Foundation di Verona (Brfv), dal dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento, (con fondi Fur 2020 e dipartimento di Eccellenza 2018/2022) e dal ministero della Sanità, con i Fondi Ricerca Corrente e progetto Covid Ricerca Finalizzata 2020.