Minalì, c’est plus facile Elia Viviani non ce l’ha fatta. L’unico veronese vincitore ai Campi Elisi, ultima tappa del Tour de France del ‘96, racconta la sua bella storia. “Papà mi comprò la bici, costava 140mila lire. Ma disse a mamma: “Ho speso solo 70mila...”

Quel giorno, forse, il piccolo Nicola cominciò a diventare campione. Fu il giorno in cui papà, gli comprò la prima biciclettina da corsa. Era il suo sogno, “…in casa non è che girassero tanti soldi, ma papà fece un sacrificio”. Nicola era il terzo dei tre figli della famiglia Minali. “Mi piaceva correre, ma chi ci pensava a una vera bici da corsa?”. Un giorno papà Minali decise di accontentare Nicola. “Prese la bici, su misura per me che ero ancora un bambino. Naturalmente la prese un po’ più grande, giusto perchè mi durasse di più… Mi ricordo ancora, costava 140 mila lire…”. Mica facile raccontare a mamma Minali, che aveva i cordoni della borsa, di quella spesa per Nicola. “Così, quando il discorso finì sulla bicicletta, papà se la cavò con una mezza bugia. Ma sì, le disse, ho preso la bici a Nicola. Ma è stato un affare, costa solo 70 mila lire…”. Mamma Minali brontolò: “Setanta mila franchi?” il dialetto rende meglio l’idea. “E secondo ti questo lè ‘n afar? Settanta mila franchi butè ia e qua non ghe nè mai…”. Papà Minali incassò, ma tanto, pensava, sarebbe finita lì. “Invece no” sorride Nicola al ricordo. “Il peggio doveva ancora arrivare”. E arrivò il giorno in cui a casa Minali arrivò una telefonata. “La bici è pronta”. “Partimmo, io, mamma e papà. La mamma, probabilmente, aveva intuito qualcosa… Arriviamo dall’artigiano che l’aveva costruita, ce la fa vedere, orgoglioso. La mam­ma la guarda e si lascia scappare: “Setanta mila franchi par quela bicicletina lì?”. Il meccanico la guarda e le dice: “Signora, con setanta mila franchi la de porta a casa metà…”. Immaginatevi come fu il viaggio di ritorno in macchina. “Io contento, la mamma che brontola, il papà che a un certo punto ferma la macchina e le dice: “Ormai la bici è nostra, se continui così, torni a casa a piedi…”. Frammenti di ricordi: “In realtà, proprio quei sacrifici e gli insegnamenti dei miei mi hanno aiutato nella mia carriera. Se ho vinto tappe al Giro, al Tour, se ho vinto due Parigi-Tours, è anche grazie a quello che mi hanno sempre inculcato i miei: rispetto delle regole, rispetto per gli altri, umiltà. Io vorrei riuscire a trasmettere ai miei figli quello che mi hanno insegnato loro con fatica, con semplicità, con la schiena sempre dritta…”. Oggi Nicola insegna ai ragazzi, “…perchè il ciclismo è la mia vita ed è bello pensare di trasmettere agli altri la tua esperienza”. Tra gli “altri” anche due figli, che si sono innamorati del ciclismo. “Riccardo, il più grande, è già professionista. Sa che cosa significa sacrificio, sa che per stare a certi livelli non servono solo le qualità. No, non faccio il papà-direttore sportivo, se mi domanda, quando serve, un consiglio c’è sempre. Ma è giusto che i ragazzi pedalino da soli, imparando anche da qualche errore…”. Minali, veronese di Isola della Scala, “accarezza” le sue imprese più belle, perle di una carriera che l’ha imposto tra i grandi velocisti degli anni ’90. “Non penso di essere stato un fuoriclasse, ma un buon corridore, quello sì. Altrimenti non avrei vinto, tra l’altro, due Parigi-Tours”. Una grande classica per sprinter, una corsa- monumento,nel ciclismo di ieri. Ma gli brillano gli occhi se gli parli dell’ultima tappa del Tour ’96. “Beh, vincere ai Campi Elisi, è qualcosa di speciale. C’è tutta la Francia che ti guarda, lì capisci veramente che cosa vuol dire Tour de France. Sì, una giornata che non dimenticherò mai…”. Lì, per i francesi, divenne Minalì, con l’accento sulla i. Minalì, c’est plus facile.

L.T.