Naufragio con ricevuta: 7mila euro. Il giovane: sono un migrante, non un trafficante Vive a Verona il fratello di un pakistano accusato di essere scafista: ecco il biglietto

Viaggi della speranza con ricevuta. Ha dell’incredibile la svolta nelle indagini sul naufragio di Cutro nel quale hanno perso la vita 70 migranti, tra cui tanti bambini, e molti sono ancora dispersi. Sospettati di essere scafisti, sono state fermate quattro persone ma una per discolparsi è in grado di dimostrare il pagamento della prima tranche per il viaggio: 7 mila euro. E il fratello, che vive a Verona (richiedente asilo), ha recuperato la ricevuta. I trafficanti di migranti sono al sicuro nella loro terra, non rischiano la vita sulle carrette del mare, da quanto emerge dai verbali. La circostanza è emersa nel corso delle indagini coordinate dal Procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia come riportato dlala Gazzetta del Sud della Calabria e dall’Ansa. Arslan Khalid, 25enne pakistano, è stato infatti arrestato con l’accusa di essere uno degli scafisti dopo essere stato indicato come tale da altri sopravvissuti alla tragedia. Adesso, dice all’Ansa il suo avvocato, Salvatore Perri, «stanno emergendo elementi che dimostrano, come sostenuto sin dall’inizio, che il mio assistito era su quella barca come migrante al pari degli altri e non era lo scafista». Nega quindi ogni responsabilità nell’organizzazione del viaggio e nega di avere fatto parte dell’equipaggio del caicco naufragato sulle coste crotonesi il 16 febbraio scorso. E a suo supporto è giunto anche il fratello, che vive da anni a Verona e che ha inviato al difensore un biglietto con scritta sopra la prima tanche del pagamento fatto per viaggiare su quell’imbarcazione diretta in Italia. Già nel primo interrogatorio a cui è stato sottoposto dagli investigatori, Khalid aveva negato di essere uno scafista. «Non ho mai aiutato i 4 soggetti che si alternavano alla guida – ha detto nell’interrogatorio – né ho mai ricevuto disposizioni di nessun genere da questi>, riporta la Gazzetta del Sud. “Riferisco che per intraprendere il viaggio mio padre ha pagato 7.000 euro ad un trafficante del quale avevo il recapito telefonico segnato su un foglio, il quale è andato perduto durante il naufragio. So che fa il sarto di mestiere in Pakistan ma di fatto si occupa di traffico di migranti. Non l’ho mai incontrato personalmente ma un conoscente mi ha messo in contatto con lui. Mio padre doveva consegnare l’importo ad un tramite, indicato dallo stesso, che lo avrebbe ricevuto una volta che io avrei riferito di essere arrivato in Italia. Appena arrivati vicino alla costa italiana, prima che la barca affondasse, uno degli scafisti ci ha detto di avvisare i nostri garanti al fine di svincolare i soldi dovuti, e così ho fatto. Ribadisco che non ho fatto niente di male, non ho aiutato nessuno degli scafisti ma sono venuto qui in Italia con l’intento di migliorare la mia vita». Alla domanda su come avesse avvisato il padre al suo arrivo, l’indagato ha risposto: «Ho mandato un messaggio con il telefono di uno degli scafisti perché sono partito dalle coste turche già privo di telefono». «Da parte nostra non ci saranno comunicazioni finché non avremo raggiunto dei punti di certezza su quanto è successo prima del fatto. Tutto quello che esce non esce certamente dai nostri uffici». Lo ha detto il procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia. «Dovete avere un po’ di pazienza – ha aggiunto – non sono cose che si possono puntualizzare in poche ore e abbiamo bisogno ancora di qualche giorno».