Quando l’infermiere ha bisogno di cure La Cisl lancia l’allarme: vanno ripensate le modalità dell’arruolamento del personale

Depressione, ansia, inappetenza, nausea, vomito, insonnia, mancanza di autostima, poca motivazione ed energia, ma anche difficoltà a concentrarsi e disturbi del comportamento. Questi i sintomi alcuni tra quelli che spesso riferiscono lavoratrici e lavoratori impegnati nei processi di presa in carico in ambito socio sanitario. Si chiama burnout. A tutto ciò si aggiungono le percosse e le violenze in generale a vario titolo che poveri lavoratrici e lavoratori ricevono dai loro pazienti, ospiti, ignari spesso di quanto intendono e vogliono. Però ciò che veramente fa veramente male è quando cominci ad avere la consapevolezza che sei solo un numero o codice da articolare in un fantomatico cartellone orario turni per coprire il servizio. Ti fai promotore di iniziative per migliorare l’organizzazione e ti scontri con protocolli e procedure che rallentano il “problem solving”. Di fatto la tua proposta può aspettare quando invece le direttive dalla dirigenza arrivano tempestive, ordinatorie ed immediatamente esigibili. Non è più il momento, o perlomeno non solo, sostiene Giovanni Zanini, segretario generale della Cisl Fp di Verona, di pensare a rinnovi contrattuali o all’arruolamento di personale con titoli più o meno equivalenti per far fronte all’emergenza che inesorabilmente avanza nelle case di riposo. “Il personale ora ha bisogno di essere assistito, curato e riabilitato anche psicologicamente ad affrontare quel lavoro che si ritiene ormai essere considerato il più faticoso al mondo”. Di fatto nelle famiglie, anche numerose, continua Zanini, la presa in carico del proprio genitore o persona fragile conta un arco temporale di giorni o forse qualche mese, carico di lavoro che proprio per la sua dimensione, sarà poi delegato al supporto di badanti, quando disponibili e quando va meglio, per la disponibilità di una scheda SVaMA, al personale della casa di riposo o centro servizi. E’ urgente cambiare paradigma e rovesciare ruoli e funzioni. Il clima organizzativo, la fidelizzazione di lavoratrici e lavoratori, la presa in carico degli stessi dipendenti risultano essere fondamentali per la “retention” del personale. La natura stressante del ruolo del caregiver, i ritmi sempre più frenetici dettati dalla carenza di personale, la mancata sensibilità del ruolo e delle funzioni del lavoratore , il mancato rispetto degli spazi e dei tempi del personale, le disuguaglianze di trattamento giuridico ed economico, gli stipendi bassi, le strutture sotto pressione per ragioni politiche e organizzative, sono tutti aspetti che contribuiscono al peggioramento della salute del personale socio sanitario. Gli utenti sempre più bisognosi con pluripatologie e richieste maggiori dettate dall intensità di cura necessaria; le famiglie giustamente più esigenti e attenti quale risposta all’aumento delle rette; cittadinanza che fatica a comprendere che a breve dovrà arrangiarsi venendo meno la forza lavoro circa le professioni di cura; gli enti erogatori dei servizi che faticano a far quadrare i bilanci tra costo del personale, gestione dell’ente, entrate da famiglie e istituzioni. C’è bisogno di istituire un tavolo provinciale permanente per approfondire e pianificare il cambiamento del paradigma nella gestione delle risorse umane al fine di ottimizzare la retention del personale. Curiamo chi ci cura prima di pensare a logiche di mercato o a soluzioni a breve durata.