Quando “muore” una città. Pezzi di storia da rivisitare “...quando succede è come se perdessero il posto nel mondo”

“Atlante delle città perdute” di Aude De Tocqueville. (2015, Bompiani, Traduzione dal francese di Mara Dompè)

Anche le città possono morire. Resistere nella memoria di qualcuno e poi con l’avanzare del tempo, perdere il loro posto nel mondo, essere cancellate dalle carte geografiche. Cadere nell’oblio più profondo.
Come con le persone, serve chi rimetta assieme i cocci, chi, sporcandosi talvolta le mani, cerchi di ricongiungere i tasselli e, a fatica, ripristinare una memoria perduta. Aude de Tocqueville lo fa, restituendoci, in questo Atlante delle città perdute, l’immagine di città che furono e che non sono più. Le ragioni della scomparsa sono le più disparate che la mente possa registrare: catastrofi naturali, follia degli uomini, declino economico, avvenimenti storici. Dalla città sumera di Mari, nell’attuale Siria, a Pryp’jat in Ucraina, passando attraverso il destino tragico di Pompei e risalendo sino a Balestrino, borgo abbandonato in Liguria, per arrivare alle rovine di Masada in Israele, l’autrice ci accompagna in un giro del mondo che fu.
La più affascinante resta, almeno per me che ho avuto modo di vederne i resti, Kolmanscop. Fondata nel 1908 nell’allora Africa tedesca del Sudovest (l’attuale Namibia) dopo il ritrovamento di un diamante, questa città aveva un casinò, un teatro, scuole, un
ospedale.
La sua fortuna cominciò a scemare con la scoperta di nuovi giacimenti altrove, sino all’abbandono totale nel 1956. Quello che rimane ora sono edifici invasi dalla sabbia del deserto del Namib, destinati ad essere presto inghiottiti dalle dune.

Giulia Tomelleri