Sebbene da quest’anno l’incentivo sia sceso al 65 per cento, nei primi tre mesi del 2025 gli oneri a carico dello Stato delle asseverazioni presentate dai proprietari degli edifici residenziali ubicati in Veneto sono aumentati di altri 92,8 milioni di euro. Pertanto, il valore economico complessivo del vantaggio fiscale riconosciuto ai veneti che hanno utilizzato il Superbonus per finanziare i lavori di ristrutturazione/efficientamento energetico delle proprie abitazioni è salito a 11,8 miliardi. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA. E’ evidente che nei primi mesi del 2025 i vincoli normativi imposti l’anno scorso hanno “congelato” il ricorso a questa misura. Tuttavia, il costo per le casse pubbliche continua ad aumentare. A livello nazionale la spesa ha raggiunto i 126 miliardi di euro. Verosimilmente, tutto questo dovrebbe terminare a fine anno. Dal 2026, infatti, il Superbonus, salvo modifiche legislative, non sarà più utilizzabile. Ritornando ai dati, nel primo trimestre di quest’anno le uscite più significative per le casse pubbliche hanno interessato la Campania (+ 3,4 per cento pari a +301,6 milioni di euro). Il Superbonus è stato un provvedimento divisivo. Chi politicamente ha voluto e continua a difendere la bontà di questo provvedimento, sostiene che non si debba guardare solo alla spesa che lo Stato si è fatto carico fino ad ora, ma anche agli effetti economici positivi che esso ha generato. Vale a dire più gettito, più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni climalteranti. E’ una tesi legittima che, tuttavia, almeno in parte è stata smentita da alcuni approfondimenti realizzati dalla Banca d’Italia. Le prime evidenze dimostrerebbero che nello scenario migliore i benefici ambientali del Superbonus compenserebbero i costi sostenuti dallo Stato in quasi 40 anni. Sempre i ricercatori di via Nazionale hanno sottolineato che da una indagine che ha interessato i beneficiari del Superbonus, il 25 per cento di questi proprietari li avrebbe realizzati comunque, gravando così sulle casse dello Stato per almeno 45 miliardi di euro. In più di un’occasione, sempre la Banca d’Italia ha evidenziato la natura regressiva di questa agevolazione fiscale destinata al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici. Tesi, quest’ultima, sostenuta anche dalla Corte di Conti che ha denunciato come le risorse pubbliche impegnate per il Superbonus abbiano interessato, in particolare, le persone più abbienti. Secondo l’Istat, la misura oggetto di questo approfondimento ha contribuito alla crescita economica nel biennio 2021-2022 tra l’1,4 e il 2,6 per cento[7]. Ricordiamo che in questo biennio il Pil italiano è cresciuto complessivamente di 13,7 punti percentuali. Per uscire dalla recessione causata dalla pandemia, il 110 per cento ha dato senz’altro un contributo importante. Ovviamente, c’è anche il rovescio della medaglia. In particolare nel 2024, il Superbonus ha provocato delle conseguenze molto negative anche sugli appalti pubblici. L’impennata dei costi di moltissimi materiali ha imposto una revisione dei prezzi per un gran numero di opere pubbliche già cantierate, causando alla Pubblica Amministrazione non poche difficoltà ad adeguarsi per il deciso aumento del costo dell’opera e in molti casi provocando il rallentamento o addirittura la sospensione dei lavori nei cantieri. A livello regionale è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al cosiddetto 110 per cento: con 59.846 asseverazioni depositate, l’incidenza percentuale di queste ultime sul numero degli edifici residenziali esistenti è stata pari al 5,7 per cento. Se il Veneto è la regione che ha utilizzato maggiormente il Superbonus ma, mediamente, è quella che ha speso meno per singolo intervento, vuol dire che a differenza di molte altre regioni, da noi le ristrutturazioni edilizie e gli efficientamenti energetici sono state più “morigerate”.