Troglio&Caniggia per sognare. Ma è già un Verona in…discesa Poi passò alla Lazio: per questo, domenica, sarà la sua partita

“Abbiamo preso due argentini, Troglio e Caniggia”.
Fine anni ‘80, difficile liberarsi dei sogni dello scudetto, più facile costruirne di nuovi. “Sono campioni, ci riporteranno in alto”. Il blitz di Eraldo Polato, assieme al manager Caliendo, entusiasmò Verona. La star era Caniggia, vent’anni e tutto quello che serviva per stregare una città. Capelli lunghi, la fama di “figlio del vento” e di play bloy, bastava (e avanzava) per scrivere pagine intere.
Lui, Pedro Troglio, sembrava il “gregario”. Intanto il ruolo, mezzala, non un fantasista, uno di corsa e di fatica. Un numero 8, ecco, di quelli che non incantano con i gol, ma che non ti abbandonano mai. Voto, 6.5, sempre. Quasi mai da 8, mai da 5.
Mentre Caniggia riempiva giornali e “sogni proibiti”, Pedro Troglio pensava a lavorare. “Sono giovane, sono qui per imparare” disse al suo arrivo. “So che Bagnoli è un grande allenatore, cercherò di ascoltarlo”.
Lo farà sempre. Pedro Troglio, di quel Verona già in…discesa, divenne una colonna. Trentadue partite e un gol, non era quella la sua specialità. Ma divenne titolare anche della Nazionale argentina, con uno sponsor come Maradona, che ne apprezzava il sacrificio, il giocare per la squadra.
Era l’’88-’89, il capolinea di un sogno e di una squadra.
Al termine, il presidente Chiampan fu costretto a “svendere” tutti. Su Troglio arrivò la Lazio, mica una squadretta. Troglio se ne andò con qualche rimpianto. A Verona aveva amici, “…questa è una città che ricorderò sempre” disse al momento dei saluti. A Roma rimase due anni. Si fece apprezzare, come a Verona. Non un fuoriclasse, ma uno che si faceva sentire. Dalla Lazio all’Ascoli, altri tre anni di serie A, prima di ripartire, tra Giappone e Argentina, dove poi finì la carriera.
In Nazionale giocò 21 partite, con la chicca dei mondiali di Italia ‘90 e una finale persa all’Olimpico, il suo stadio.
“Verona mi ha insegnato molto” ha sempre detto. “E molto ho imparato da Bagnoli, che non parlava molto ma si faceva capire”. Dev’essere stato anche per questo che Troglio è poi diventato allenatore. Ha vinto campionati, ha messo a frutto anni di calcio, lui che in mezzo al campo ci sapeva stare e, come si dice, “era già allenatore quando giocava”.
Così, domenica, guarderà da lontano la sua partita, questo Verona-Lazio che sarà per lui il derby dei sentimenti.