Voto, ora si pensa a Europa e Veneto. Tutti i partiti alle prese soprattutto con i problemi interni Nel Centrodestra, uscito vincitore in Lombardia e Lazio, pochi scossoni: si guarda al voto del 2024 che sarà con il proporzionale e alle regionali del 2025. Ci sarà una deroga per il terzo mandato del governatore Zaia? Il Pd pensa al congresso

LUCA ZAIA REGIONE VENETO

Dopo il voto delle regionali è tutto un fiorire anche in città di possibili reazioni e contraccolpi, nel centrodestra e nel centrosinistra. Come se il voto in due sole Regioni, per quanto importanti, potesse avere un significato nazionale. Come se con un’affluenza così modesta si possano tirare già delle conclusioni sui flussi elettorali e le consistenze dei partiti. Detto questo cosa potrà accadere? Gli spifferi che arrivano dai partiti dicono che per il momento non accadrà proprio nulla di eclatante. Ogni partito è alle prese con i propri problemi. Il Pd deve capire se riuscirà a trovare un leader nazionale e chi sarà , dopo che Schlein è stata protagonista di una rimonta importante su Bonaccini. E quindi anche a Verona è necessario riassestarsi. Nel centrodestra, le forze di Governo sono uscite dalle urne con risultati netti e chiari. Giorgia Meloni potrebbe anche pensare a risistemare gli equilibri dell’alleanza visto il successo di Fratelli d’Italia ma in questo momento ha altre priorità di Governo cui pensare. La Lega di Salvini è alle prese con i congressi (a Treviso ha vinto Coin e ha perso il candidato portato da Salvini e Zaia) e ringrazia il Cielo per un risultato elettorale che la tiene bene in campo, nonostante il previsto calo in Lombardia che secondo alcuni sarebbe l’inizio del tramonto del Capitano. Forza Italia mantiene i suoi voti in Lombardia e cresce nel Lazio, per cui per Berlusconi e Tajani non poteva andare meglio. E quindi può permettersi di respingere le avances di Calenda che con il Terzo Polo (uscito malissimo dal voto) vorrebbe accasarsi al centro con i forzisti. Fin qui la parte ufficiale. Ma il dietro le quinte è molto interessante. Per esempio, dentro Forza Italia si comincia a parlare della necessità di separare gli incarichi politici di partito da quelli istituzionali. Può un ministro essere anche leader politico? Può per esempio un presidente del Consiglio essere in campagna elettorale per il partito in modo permanente? Nulla di nuovo: la vecchia regola era legge nella Democrazia cristiana. Chi governava non si occupava delle pratiche del partito che venivano lasciate agli esperti di voti e di tessere. La consuetudine era abbastanza rispettata da tutti ma venne infranta da Bettino Craxi, leader del Psi e poi presidente del Consiglio. Un doppio ruolo che si è rivelato dannoso e che ha aperto a quella stagione politica cosiddetta del Cesarismo. Poi arrivò Berlusconi con Forza Italia e il leaderismo non ha più avuto confini. Oggi abbiamo Giorgia Meloni che da premier deve rivestire il ruolo di statista in Unione Europea, con Zelensky, con gli Stati Uniti e poi deve andare a fare campagna elettorale per Fratelli d’Italia nei comizi in giro per il Lazio dove fa le caricature, le battutine, le voci strane, le smorfie. Non sarebbe più saggio per tutti tornare a dividere i ruoli politici da quelli istituzionali? Detto questo, i partiti non faranno grandi manovre anche perché si preparano alle Europee che scadono tra un anno e si voterà con il proporzionale, quindi altro che alleanze, meglio restare distinti, ciascuno con il proprio bandierone da sventolare. Nel 2025 torneranno le Regionali: che farà Zaia? Allo stato attuale non potrà ricandidarsi per il vincolo del terzo mandato, ma la Meloni darà una deroga? Toglierà il vincolo per un leghista? Difficile… Quello che invece viene dato per certo nei corridoi del Parlamento è che verrà azzerata la riforma Del Rio che aveva modificato le Province: entro l’anno torneranno come prima, enti di primo livello, con le deleghe e le competenze di una volta e un ruolo pienamente operativo. (mb)