40 anni fa lo scudetto del Verona, la storia di un trionfo irripetibile A quarant'anni di distanza, ripercorriamo la cavalcata trionfale della stagione 1984-85, quando la "provinciale" guidata da Osvaldo Bagnoli realizzò un sogno ritenuto impossibile.

Sono trascorsi quarant’anni da quel 12 maggio 1985, una data scolpita a caratteri d’oro nella storia del calcio italiano. Quel giorno, l’Hellas Verona completava una delle favole sportive più incredibili di sempre, laureandosi Campione d’Italia. 

Stiamo parlando di un trionfo tanto inatteso quanto meraviglioso. Un’impresa tanto impronosticabile oggi manderebbe in tilt i principali siti di scommesse, che a inizio stagione avrebbero certamente quotato il trionfo gialloblù come un evento ai limiti dell’impossibile. Quella vittoria ruppe il consolidato dominio delle metropoli calcistiche e dimostrò che, a volte, l’unione, il lavoro e il talento possono sovvertire qualsiasi pronostico.

Una Serie A di stelle e una “provinciale” da non sottovalutare

Per comprendere la portata di quel successo, è necessario immergersi nel contesto della Serie A 1984-85. All’epoca, il campionato italiano era senza dubbio il più prestigioso e competitivo al mondo. Squadre come la Juventus di Platini e Boniek, la Roma di Falcao, l’Inter di Rummenigge e il Napoli del neo-acquisto Diego Armando Maradona calamitavano l’attenzione internazionale. 

In questo firmamento di stelle, l’Hellas Verona partiva come una semplice “provinciale”, termine con cui si identificano le squadre di città non capoluogo di regione. Eppure, la squadra veneta, ancora oggi l’unica provinciale ad aver vinto lo scudetto nell’era del girone unico, era un gruppo solido, reduce da ottimi piazzamenti e pronto a stupire.

Il capolavoro di Osvaldo Bagnoli

L’artefice principale di quel miracolo sportivo fu l’allenatore Osvaldo Bagnoli. Uomo schivo, di poche parole ma di grande carisma, seppe creare un gruppo coeso fondato su valori come l’umiltà, la dedizione al lavoro e il sacrificio. La sua squadra era un meccanismo perfetto, un mix magistralmente assortito. L’ossatura era composta da fedelissimi che avevano conquistato la promozione dalla Serie B, come il portiere atipico Claudio Garella, il libero e capitano Roberto Tricella e il regista Antonio Di Gennaro. 

A loro si aggiunsero giocatori di talento in cerca di riscatto dopo esperienze altalenanti nelle grandi squadre, come l’instancabile esterno Pierino Fanna e l’attaccante Giuseppe Galderisi. Il tocco di classe internazionale fu garantito da due acquisti stranieri straordinari: il poderoso difensore tedesco Hans-Peter Briegel, adattato a centrocampista, e l’imprevedibile centravanti danese Preben Elkjær Larsen.

Dalla rete senza scarpa al trionfo di Bergamo

La cavalcata dell’Hellas Verona fu una marcia costante, una recitazione senza cali di ritmo. La squadra partì fortissimo, diventando campione d’inverno e non lasciando mai le primissime posizioni. La stagione fu costellata da momenti iconici, come la vittoria per 2-0 contro la Juventus campione in carica, passata alla storia per il gol memorabile di Elkjær che, pur perdendo uno scarpino in piena corsa, proseguì imperterrito e batté il portiere avversario. Quella rete divenne il simbolo della tenacia di una squadra che non si arrendeva di fronte a nulla. 

Il sigillo finale arrivò il 12 maggio 1985, alla penultima giornata. Sul campo dell’Atalanta, a Bergamo, ai gialloblù bastava un punto. Dopo il vantaggio dei padroni di casa, fu proprio Preben Elkjær a segnare in mischia il gol dell’1-1, un pareggio che diede il via alla festa per uno scudetto storico e strameritato.

Un’eredità eterna

Ancora oggi, a quarant’anni di distanza, quell’impresa mantiene un’aura mitica. L’Hellas Verona 1984-85 non fu solo una squadra vincente, ma un simbolo di un calcio romantico e genuino. Le recenti celebrazioni allo stadio Bentegodi, dove i protagonisti di allora sono stati riabbracciati dai tifosi prima di una partita, testimoniano quanto quel legame sia ancora vivo. Come disse l’allora presidente, fu “una vittoria di tutti”, un’eredità che appartiene non solo a Verona, ma all’intera storia dello sport italiano.