“Aiutiamo 100 mila persone”. La realtà Banco Alimentare Adele Biondani tra Brexit e volontariato, tra Verona e Inghilterra

Dal referendum di giugno 2016, fino alla recente ufficialità, con il Regno Unito che dopo 47 anni lascia l’Unione Europea. E quell’immagine che ha fatto il giro del mondo con alcuni funzionari a Bruxelles che ammainano la “Union Jack” in un silenzio solenne, sostituendola con una bandiera dell’Europa. Da 28 a 27 stati. La Brexit con l’arrivo del 2021 è diventata realtà. L’isola alza i confini e si stacca da un abbraccio che sentiva troppo pressante. Ne abbiamo parlato con la “veronesissima” Adele Biondani, presidente dal ’97 del Banco Alimentare del Veneto e che da ormai 2 anni assieme al marito e ai figli ha deciso di vivere in centro a Londra.
Partiamo proprio dal Banco Alimentare, come nasce il tutto?
L’idea nasce negli Stati Uniti, nell’89 arriva in Italia e qualche anno più tardi mio padre decide di portarla a Verona, dopo aver assistito alla distruzione di un tir di succhi di frutta difettosi solo nell’etichettatura. Il Banco Alimentare è un’associazione di volontariato che recupera dalle aziende prodotti perfettamente commestibili, che per qualche difetto non possono esser venduti. E li distribuisce a realtà che gratuitamente aiutano persone in difficoltà.
Quanto è cresciuto negli anni questo progetto?
Al momento in Veneto facciamo da tramite per 472 associazioni che a loro volta aiutano sulle 100.000 persone bisognose. Abbiamo circa 170 volontari e 5 dipendenti, e nel 2020 siamo sulle 5.000 tonnellate di prodotti recuperati, ridando così valore a un prodotto e togliendo costi di smaltimento alle aziende. Ora è partito anche “Siticibo”, in sinergia con “McDonalds” che da inizio anno distribuirà 450 pasti a settimana alle mense dei senza fissa dimora. E’ un progetto fantastico perchè non stiamo parlando di eccedenze, ma di produzione “ad hoc”.
Invece lei vive a Londra con la famiglia, cosa cambia adesso con la Brexit?
Con la Brexit si complicano abbastanza le cose, per dire chi vorrà venire a studiare in Inghilterra, avrà delle rette universitarie e scolastiche triplicate e già prima erano alte. Ci vorrà un visto turistico per i vacanzieri, e servirà anche il passaporto.
Per chi viene a lavorare?
Venire a lavorare in Inghilterra non sarà più così semplice. Da quello che apprendo dai giornali, mi par di capire che ci sia una sorta di graduatoria, e non si può arrivare in Inghilterra a cercare lavoro, ma servirà già una proposta lavorativa concreta in mano.
Da un punto di vista commerciale?
Non ci sono dazi doganali sui prodotti che sono tutti fabbricati in Europa, ma banalmente se una componente del prodotto è extra-europeo, dovrebbe esser soggetto a un’imposta. Così come sarà
necessaria avere la certificazione per i prodotti europei, una certificazione prettamente inglese. Fondamentalmente è sì un accordo di libero scambio, ma con tante norme in più rispetto a prima.
Voi siete favorevoli o contrari?
Noi l’abbiamo subita essendo li solo dal 2019, anche se da europea avrei preferito un’unità. Per noi cambia poco, come residenti abbiamo compilato la certificazione di residenza che diventa definitiva dopo 5 anni, e ti permette di mantenere gli stessi diritti che avevamo prima della Brexit.
Si sentono già i primi effetti?
Al momento è tutto “congelato” causa virus, è tutto fermo molto più del lockdown della scorsa primavera. Noi siamo tornati in Italia il 17 dicembre per il Natale, e mi raccontano gli amici inglesi che la ristrettezza si è fatta ancora più stringente. Ora con la chiusura delle scuole anche in Inghilterra, abbiamo deciso di rimanere momentaneamente a Verona.

Fabio Ridolfi