Alessandro “è obbligato” a rientrare “Il contagio è scoppiato anche in Perù, ci hanno detto “dovete tornare in Italia”

La gestione dei conflitti ambientali, il contrasto all’inquinamento prodotto dalle miniere peruviane e poi l’improvvisa corsa per rientrare in Italia, prima che l’emergenza sanitaria ormai mondiale potesse bloccare all’estero anche lui.

Alessandro Bonati abita a Valeggio sul Mincio e lo scorso luglio è partito per il Perù come Corpo Civile di Pace, aderendo alla proposta della storica Ong veronese, Progettomondo.mlal, che a sua volta partecipa al bando della Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario).

Nei giorni scorsi, ecco l’emergenza coronavirus. Altri Ccp si erano già imbarcati per l’Italia, ad Alessandro e Alessia è toccato aspettare fino al giorno dopo per raggiungere Buenos Aires e quindi Roma. Da qui il treno rispettivamente per Verona e per Milano.
“Tutto è successo velocissimo”, racconta il giovane di Valeggio. “Controllavamo a distanza la situazione in Italia. Il primo contagio in Perù è accaduto una settimana prima che partissimo e insieme alla presa d’assalto dei supermercati sono iniziate le progressive limitazioni dei luoghi di aggregazione”.

Non appena atterrato in Italia Alessandro si è sottoposto alla quarantena, come previsto dal decreto per chi arriva dall’estero. “Mio padre mi ha messo a disposizione una sua vecchia casa e mi porta la spesa a distanza”, dice Alessandro. “Solitamente il rientro rappresenta una festa e un momento di condivisione e pure di abbracci con la famiglia. Questa volta invece i rapporti sono solo a distanza. L’entusiasmo è azzerato, prevale la preoccupazione”.

Alessandro, che ha scelto di dedicarsi al sostegno delle fragilità per garantire una vita dignitosa a tutti, lancia infine un appello. “Penso che la gente debba cercare di evitare il giudizio troppo facile. Anche prima del virus c’era la tendenza a puntare il dito contro gli altri, e ora temo che si possa scivolare in prese di posizione frutto di rabbia e rancori, che rischiano di creare falsi nemici. Verso gli altri serve un po’ di pietà, senza etichette o valutazioni affrettate”.

Ogni ambasciata si sta muovendo per conto proprio e gli italiani all’estero stanno vivendo ore di incertezza e una forte preoccupazione sul futuro prossimo del Paese in cui si trovano.

Lo stesso vale per gli operatori di Progettomondo.mlal che, a causa della diffusa emergenza sanitaria, stanno assistendo a una progressiva limitazione di servizi, scuole, locali e voli a seconda dei luoghi in cui operano.

Il timore più grande è l’incapacità dei Paesi in via di Sviluppo non solo di riuscire ad affrontare un’eventuale massiccia diffusione del Covid-19 dal punto di vista sanitario, ma anche che possano mancare i beni di prima necessità. L’impatto del virus, in realtà già sofferenti, si prospetta esponenzialmente più grave.

La minaccia che salti l’ordine pubblico è dietro l’angolo perché un eventuale stop di Paesi in cui la gente vive già di stenti significherebbe l’impossibilità per molti di procurarsi da vivere.

Fa parte del Corpo civile di pace

Dopo la triennale in filosofia e la magistrale in antropologia il giovane volontario di 29 anni ha prima aderito a un anno di servizio civile in Brasile e poi è diventato Corpo Civile di Pace, una figura designata per la “difesa civile, non armata e non violenta” in situazioni di conflitto e di emergenze ambientali.

Il 13 marzo, il venerdì prima dell’inaspettata chiamata al rientro, Alessandro e la collega Alessia, partita con lui alla volta del Paese andino, stavano riunendosi con soci e partner locali di Proget­tomondo.mlal proprio per sviluppare il piano per la gestione ambientale e la mappatura del territorio rurale di Cujaca dove la presenza di miniere provoca l’inquinamento dell’acqua, l’abbandono di rifiuti e una serie di altre criticità.
“Sabato mattina l’Ong ci ha telefonati per dirci che le indicazioni erano di partire subito”, racconta il giovane che avrebbe dovuto restare in Perù fino a fine giugno. “Abbiamo regalato ai vicini le riserve di cibo che avevamo in dispensa poi, in fretta e furia, senza la possibilità di salutare nessuno, abbiamo messo in valigia quanto possibile e siamo saliti per il primo volo per Lima”.