“Fase 2”? Chi deve decidere bisticcia Come al solito manca un’unica regia nazionale: le Regioni si arrangiano

L’avvio della “fase due”, os­sia la ripresa parziale delle attività lavorative e la possibilità di riappropriarci gradualmente delle nostre li­bertà individuali, è nelle mani del comitato tecnico-scientifico che funge da super consulente per il go­verno e la protezione civile. Ne fanno parte, tra gli altri, il presidente dell’Istituto superiore di sanità, il direttore generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute e il direttore scientifico dell’Istituto na­zionale per le malattie
in­fettive “Spallan­za­ni”.

INDECISIONE TOTALE

Molte teste, messe tutte assieme, difficilmente portano a de­cisioni rapide e certe. Fi­guriamoci in Italia, il Paese dell’autocertificazione. E dunque governo, Iss e comitato di professori non hanno idea di come e quando allentare le misure re­strittive. I tempi della ripresa dipenderanno dall’andamento dei contagi, è chiaro. Ma è impensabile che a 10 giorni dalla scadenza dell’ultimo (per ora) decreto Conte i professionisti dell’emergenza non abbiano ancora stabilito una linea d’azione. Lo sa­rebbe quand’anche l’inizio della “fase due” non fos­se l’agognato giorno 14 ma un po’ più in là. Ci hanno solo detto che non sarà un “tana libera tutti”, e fin qui c’eravamo arrivati da soli. Ma chi saranno i fortunati a poter uscire di casa per primi, a rientrare in fabbrica, a potersi fare una corsetta senza il ridicolo limite dei 200 metri? Mi­stero.

AVANTI IN ORDINE SPARSO

Alcune Regioni stanno av­viando o hanno già avv­iato test sierologici per verificare in base alla presenza o meno degli anticorpi chi ha contratto la malattia e sconfitto il Covid, e dunque – al­meno per qual­che mese – ne sarà immune. Potrebbe rivelarsi un ottimo meccanismo per liberare dalla “quarantena” gli asintomatici. Il governatore veneto Luca Zaia l’ha definita una “pa­tente di immunità”. I primi a essere sottoposti al test saranno medici e infermieri. Idem in Emilia-Ro­magna che è partita ieri. In Liguria l’iter procede spedito. Lazio, To­scana e Friuli Venezia Giu­lia seguono a ruota. Le re­gioni s’arrangiano, dunque: alcune hanno scelto la medesima strategia, altre, come la Campa­nia, prenderanno strade di­verse. Manca la regia dello Stato.

LE VARIE POSIZIONI

«Dei test sierologici si sta discutendo, anche a livello di comitato scientifico e di Iss» ha detto il capo della protezione civile Angelo Borrelli. Con calma, c’è tempo. Il presidente del­l’Istituto superiore di sanità, il professor Angelo Bru­saferro, sostiene che questi esami «sono affidabili, ma anche lunghi e complicati. Tutti gli altri test, rapidi o sierologici, a oggi non hanno raggiunto livelli di affidabilità tali da essere usati». Il collega Giovanni Rezza, direttore del dipartimento malattie infettive dell’Iss – quindi dello stesso ente – ha affermato che l’I­stituto non ha ancora validato questi test. L’e­pi­de­miologo Pierluigi Lo­palco la pensa in altro modo: «Quella dei test anticorpale non solo è una strada promettente, ma è da cominciare a seguire subito, si tratta di un’indagine abbastanza affidabile». Fa­vo­re­vole all’esame an­che la collega Ilaria Ca­pua, mentre all’interno del comitato altri tecnici dibattono su quali test utilizzare, eventualmente, dato che ce ne sarebbero molti a disposizione. Il capo della task force veneta, il professor Andrea Crisanti, a­veva già detto che considera questa strategia veloce e affidabile. Insomma: tra chi dovrebbe decidere co­me riportare il Paese a un minimo di normalità (l’alternativa è ­di­­­­chiarare la bancarotta di Stato) è tutto un chiacchirare, un’appraizione tivù dopo l’altra, ma del­la concretezza nemmeno l’ombra. Il mi­ni­stro France­sco Boc­cia è stato perentorio: «È ur­gen­te avere li­nee guida chiare. Non si possono a­vere valutazioni diversi sui territori». Avvertitelo che è al governo.

Alessandro Gonzato