“Il bambino nascosto”, l’idea funziona Una storia ambientata a Napoli, si parla di camorra, senza cadere nei soliti luoghi comuni

Passato nella categoria Fuori concorso alla 78ª Mostra del Cinema di Venezia, Il bambino nascosto è un film di Roberto Andò, approdato da poche settimane su Sky e tratto dall’omonimo romanzo scritto dallo stesso regista.
La storia è ambientata in uno dei quartieri più problematici e malfamati di Napoli, dove Gabriele Santoro, noto e rispettato maestro di musica al conservatorio della città, si barcamena tra disgrazie, scippi e una malavita che ha ormai invaso il suo vicinato e la sua quotidianità. Rientrato in casa dopo una normalissima giornata di lezione, si trova il salotto occupato da un ragazzino di nome Ciro, che scoprirà essere fuggito dalla sua stessa famiglia a causa di eventi inquietanti che lo avevano visto testimone.
Interpretato eccelsamente da un talento del calibro di Silvio Orlando, qui nei panni del maestro di musica, Il bambino nascosto mette in piedi un racconto sulla camorra tentando però di sfuggire ai cliché tipici del genere: il contesto malavitoso e i grugni dei cattivi che si aggirano per le strade non mancano, eppure ciò su cui l’interesse dello spettatore è indirizzato sin da subito è l’eroica semplicità dei protagonisti di questa storia. Il rapporto tra Ciro e Roberto è infatti burrascoso sin dall’inizio, i due si studiano e spesso non si comprendono, generando – come tra genitori e figli – situazioni di conflitto che talvolta appaiono irrisolvibili; eppure, incredibilmente, entrambi sanno di potersi fidare l’uno dell’altro: concentrandosi sulla strana quotidianità costruita intorno alle loro figure, una sceneggiatura ben calibrata e uno studio dei caratteri delicato e profondo riescono a mettere a fuoco tanto l’uno quanto l’altro personaggio , scoprendone le somiglianze, le fragilità e la condivisa volontà di curarsi, reciprocamente, della propria incolumità. La bontà di fondo che anima le azioni di entrambi si contrappone dunque a un mondo minaccioso e invasivo, innescando un meccanismo di protezione ed estraniamento capace di creare un microcosmo di pace, normalità e tranquillità in cui i due si crogiolano e si contaminano positivamente, fino alla resa dei conti finale.
La messa in scena è ben curata e il racconto ruota per lo più intorno agli spazi chiusi della casa; e anche se a lungo andare lo spettatore soffre della ripetitività di alcune dinamiche (il campanello che suona, la visita di personaggi ambigui, gli sguardi dei protagonisti dalla finestra), la sceneggiatura si distingue per l’attenzione dedicata a piccole scenette quotidiane, che privilegiano momento quasi banali, ma che risultano tenerissime e capaci di dare vita, più di ogni altra cosa, alle personalità umane di Ciro e Gabriele.
Altra nota a favore il finale, per nulla scontato, che nella sua semplicità ha la forza di comunicare un senso di liberazione e ottimismo raramente presente nei film su simili tematiche.

VOTO:8

Maria Letizia Cilea