Il Verona vende i pezzi più pregiati Prima Hien, poi Terracciano, a breve Hongla e probabilmente poi toccherà a Ngonge

MAURIZIO SETTI PRESIDENTE VERONA

Prima Hien, poi Terracciano. A breve Hongla, probabilmente toccherà poi a Ngonge. Il Verona vende ed è evidente che le valutazioni non sono tecniche. L’Hellas fa cassa, raccoglie più soldi che può. Più importante mettere a posto i conti che difendere la serie A.
I tifosi, inutile negarlo, hanno la bava alla bocca, il feeling tra il presidente Maurizio Setti e la città non è mai stato a livelli così bassi.
Ma perchè questo improvviso cambio di rotta nelle scelte societarie? Perchè il Verona si vede costretto a cedere i pezzi più appetibili?
Semplice, basta leggere il bilancio di esercizio stagione 2022-23 che certifica le difficoltà economiche di un Verona costretto alle cessioni. La perdita è di quasi 12 milioni di euro, 11,7 per la precisione. Sia chiaro c’è chi in serie A ha fatto decisamente peggio.
L’Inter, la più esposta, ha una perdita a bilancio di 87,4 milioni, ma non se la passano bene nemmeno la Juventus, la Roma, la Lazio, mentre le uniche big in grado di sorridere sono Milan e, soprattutto Napoli.
Le società in lotta con il Verona per non retrocedere sono nelle stesse acque, la Salernitana ha un buco di 30 milioni, va un pò meglio a Cagliari, 2 milioni di rosso ed Empoli, quasi 4. Il calcio italiano perde, il Verona ancora di più. L’ultimo bilancio presentato è stato il peggiore della gestione Setti, quello precedente si è chiuso in rosso per quasi 6 milioni.
E le famose plusvalenze? Ci sono state e si rivelano fondamentali per tenere in piedi la baracca. Nel bilancio sono state contabilizzate 30,9 milioni di euro di plusvalenze, record in positivo negli anni di Setti; 8 milioni di euro per Ilic, 6,7 per Casale, 5,4 per Caprari, 4 per Sulemana, 3,6 per Simeone, 2,5 per Barak e 0,8 per Pandur.
Ma non bastano. Il Verona si indebita sempre di più alla luce di tre fattori principali: costo del personale, salito a 54,4 milioni, il costo degli ammortamenti, 25,3 milioni, il peso degli oneri finanziari, 4,5 milioni. In un contesto così negativo, Setti si è visto costretto a dimezzare il costo per i propri compensi, sceso da 2,7 milioni di euro nel 2021-22 a 1,28 milioni di euro nel 2022-23. Se la situazione economica piange, quella patrimoniale e finanziaria risulta altrettanto preoccupante.
Il patrimonio netto al 30 giugno 2023 si è ridotto a 2,1 milioni di euro, a fronte di un capitale sociale di 3 milioni di euro. Rispetto ad altre realtà la differenza è nella capacità della proprietà di intervenire nelle perdite.
Lasciando stare esempi non proponibili, la Juventus per sopperire ad un bilancio negativo si è vista costretta ad un ulteriore aumento di capitale da 250 milioni, ma è società quotata in Borsa e pertanto sottoposta a serrati controlli, in altri casi è in primis il presidente a sanare le perdite.
L’esempio più eclatante è il Sassuolo che da quando è nella massima serie riceve puntualmente oltre 20 milioni di sponsorizzazione dalla Mapei, la società della famiglia Squinzi. Quindi se Setti non può aiutare direttamente ecco che l’unica strada da seguire sono le vendite. Che significano anche e soprattutto che la famosa cessione al fondo americano è decisamente tramontata.
Setti aveva rifiutato in estate di dar via Hien ed Ngonge, dalla cui vendite, con ogni probabilità, avrebbe messo già allora i conti a posto. Lo deve fare ora perchè quella strada si è chiusa e il peso delle visite della Guardia di Finanza, due solo a dicembre, non può non aver pesato. Dunque lacrime e sangue. Sperando in un ulteriore miracolo.
Mauro Baroncini