“Io vincevo tutto con la Juve, lasciavo la Nazionale a Zenga” “Errori? Ne ho fatti due o tre, non di più... Ora ve li racconto”

Prendere o lasciare, non c’è storia. Stefano Tacconi è sempre stato così, matto al punto giusto per essere davvero un grande portiere, come dovevano essere i numeri 1 di ieri. Un kamikaze, spettacolare, schietto, a volte persino troppo e forse questo qualcosa gli ha tolto. “Non lo so, non me ne frega niente”, dice. “Io ero fatto così e non avrei voluto essere diverso. Ho giocato nella Juve, ho giocato in Nazionale, ho vinto molto, quasi tutto quello che c’è da vincere nel calcio. Che cosa posso pretendere di più?”.
La Nazionale, magari. Non che lui e Zenga fossero nemici, sia chiaro. Ma neanche che andassero d’amore e d’accordo. Perchè di portieri, in una squadra, ne gioca uno solo e in quella Nazionale, giocava quasi sempre Zenga. “Lui giocava in Nazionale, io vincevo tutto con la Juve. E lui rosicava per questo. No, non farei cambio, io col mio carattere ho fatto la mia strada, ho scelto di essere me stesso, anche a costo di rimetterci, a volte. Ma sono in pace con la mia coscienza. Certo, magari al Mondiale del ’90 potevo esserci io…”.
E magari, aggiunge qualcuno, non avremmo preso il gol di Caniggia, con l’Argentina e forse saremmo qui a parlare di un’altra storia. “Pazienza, doveva andare così…”.
Oddio, di errori, ne avrà pure commesso anche Tacconi, no? “Pochi, ne ricordo due soli” taglia corto, spregiudicato come sempre. Il primo, col Barcellone, mi fece gol Archibald, sul primo palo. Per fortuna, che quella fu la “notte di Pacione”, che sbagliò un paio di gol clamorosi e così nessuno si ricordò il mio errore, Finì
1-1, fummo eliminati dalla Coppa. Il secondo? Nella finale di Coppa delle Coppe,
col Porto. Il tiro mi rimbalzò davanti, prese la calce che c’era sulla linea, si alzò, io ero già a terra per prenderlo e la palla mi scavalcò. Lì, mi salvò Vignola, che aveva già segnato e poi fece l’assist a Boniek per il secondo gol. Vincemmo 2-1, anche lì, il mio errore non fu decisivo. Vignola? Un amico, fin dai tempi dell’ Avellino. Del terremoto. Delle speranza di ragazzi. Ah, poi un altro gol strano, su tiro di Renica. Campo bagnato, la palla mi scivola in mezzo alle gambe. Qualche giorno dopo Boniperti mi chiama in sede e mi mostra la foto del gol. Guarda qua…”
C’era anche all’Heysel, Tacconi. “Doveva essere una festa, è diventata una macchia che nessuno cancellerà mai. E a chi dice che avremmo dovuto comportarci in altra maniera rispondo che avrei voluto vedere chiunque, in quella situazione. Sapevamo e non sapevamo, nessuno ci aveva raccontato la verità. Ma la società non voleva giocare, fummo costretti a farlo. E non è vero che ci comportammo come se fosse stata una partita normale. Non lo era, non poteva esserlo. Giocammo solo perchè non c’erano alternative”. Qualche tempo dopo, la società lo mandò assieme a Platini, “…a visitare i feriti. A portare la nostra vicinanza, la nostra solidarietà. Nessuno di noi, nessuno di chi c’era quella sera, ha mai pensato a quella Coppa con l’anima serena. Quella sera resta per tutti un’ombra maledetta”.

Raffaele Tomelleri