Le storie de “La Cronaca”: c’era una volta… “Mister Weisz, è ebreo, deve fuggire” Grande allenatore, vinse con l’Inter e col Bologna, morì in un campo di concentramento

Non gli è bastato vincere alla guida dell’Inter nella stagione 1929/30 la prima edizione del campionato italiano a girone unico, il cosiddetto girone all’italiana con 18 squadre, il prototipo dell’attuale Serie A, diventando a 34 anni il più giovane allenatore di sempre ad aver vinto il tricolore. Non gli è bastato nemmeno portare il Bologna alla conquista del campionato 1935/36, disegnando uno squadrone formidabile fatto di appena 14 giocatori, interrompendo il dominio juventino. Proprio lui, l’ultimo allenatore a vincere prima del quinquennio bianconero e lo stesso a porre fine a quel ciclo.
La storia però non guarda in faccia nessuno. Tutto questo infatti non impedì ad Arpad Weisz, uno degli allenatori più brillanti che il calcio europeo abbia mai avuto, di sfuggire alla brutalità e all’orrore della furia nazista. Perché nell’Italia del 1938 Weisz diventa improvvisamente solo un ebreo: nella realtà delle leggi razziali non contano doti e talenti, né essersi conquistati con il proprio lavoro stima e popolarità. Non contano più le esistenze individuali, si diventa un numero senza importanza, perché altri hanno deciso così sulla base di assurdi presupposti scientifici.
L’unica sua involontaria colpa è quella di essere nato da genitori ebrei, a Solt in Ungheria il 16 aprile 1896. A 15 anni entra nelle giovanili del Torekves e due anni dopo esordisce in prima squadra. Ruolo ala sinistra molto tecnica, dotato di uno scatto ficcante, nell’estate del 1925 viene ingaggiato dall’Internazionale di Milano. Un anno più tardi, con 11 partite e 3 gol all’attivo, un brutto infortunio lo costringe a porre fine alla sua carriera da calciatore a neanche trent’anni. La società nerazzurra gli propone di diventare subito allenatore e lui accetta. Come certificheranno i trofei vinti con le maglie di Inter e Bologna, Weisz si dimostra un innovatore sul piano tattico: negli anni in cui si dirigevano gli allenamenti in giacca e cravatta al centro del campo, lui è il primo a guidare personalmente i giocatori in pantaloncini e maglietta e provare i movimenti di squadra, esponente di quella che allora veniva chiamata la scuola danubiana, che sostituiva con passaggi precisi e rasoterra i rilanci lunghi. Introduce di fatto nel campionato italiano il famoso sistema WM inventato dal leggendario allenatore dell’Arsenal Herbert Chapman, lo stesso modulo di gioco che farà grande il Torino. La cura con cui svolge il suo lavoro lo porta a non trascurare nessun dettaglio, fino a visionare le partite dei ragazzi del settore giovanile. È in questo modo che scopre Giuseppe Meazza, che nella stagione dello scudetto neroazzurro vincerà, a neanche vent’anni, la classifica cannonieri.
Eppure l’epilogo di una vita e una carriera così straordinarie fa dannatamente male. Il 2 agosto 1942 Weisz, la moglie Elena e i loro due figli Roberto e Clara vengono arrestati dalla Gestapo. Dal campo di raccolta di Westerbork il 2 ottobre 1942 i quattro vengono caricati su un treno blindato, destinazione Polonia. Dopo tre giorni di viaggio in condizioni inumane, Arpad viene dirottato ai lavori forzati nell’Alta Slesia. Elena, Roberto e Clara raggiungono Auschwitz-Birkenau, dove vengono subito eliminati in una camera a gas. Deportato a propria volta ad Auschwitz, Weisz resiste fino al 31 gennaio 1944, quando muore di stenti dopo atroci sofferenze.

Jacopo Segalotto