Lui, la freccia di Castelmassa. Era il piccolo grande Bonatti Il 2 maggio ‘77 l’ultima fatale partita, sul campo di Bonferraro

Raffaele Tomelleri

Martina era una bimba, quando papà se ne andò. Per sempre. “Me lo ricordo allegro, giocavamo spesso assieme, gli piaceva suonare la chitarra…”. Era sempre allegro, Italo Bonatti. Di un’allegria che fa bene, che contagia, che si riascolta nelle parole di Martina, tifosissima Hellas “…da quando avevo 9 anni”, che papà non aveva mai visto giocare ma se ne sarebbe innamorata. «Aveva una passione incredibile, il pallone era la sua vita…” sospira. “Pensi che quel giorno, faceva freddo, c’era brutto tempo e la mamma disse a papà: non andare, con ‘sto tempo, meglio se stai a casa… Figurarsi papà, stare a casa, lui voleva sempre giocare…”. Ha ricordi nitidi, di quel giorno brutto. “Ho sempre sentito dire che a un certo punto, papà è caduto a terra, con la faccia… Strano, per un atleta, avrebbe cercato di ripararsi con le mani, di proteggersi… Poi lo videro rialzarsi, barcollare, muoversi per un po’ cercando di reggersi in piedi, senza riuscirci. E poi, ancora a terra. Provarono ad aiutarlo, a soccorrerlo, poi lo caricarono per portarlo all’ospedale, ma credo fosse arrivato già senza vita…”.
Era una bimba e si trovò a fare i conti con un destino cattivo. “E’ solo il destino” interviene mamma Luisa. Lei era di Cadidavid, per questo Italo, una volta “sceso” dal grande calcio, aveva indossato quella maglia. L’ora se la ricorda troppo bene. “Ero da mia mamma, come ogni domenica. Si andava a mangiare dai miei, poi Italo andava alla partita. La sua vita. Squilla il telefono, saranno state le quattro…”. Gli crolla il mondo addosso. Le dicono “…è successo qualcosa di brutto”. La corsa in ospedale, purtroppo inutile. Italo non ce la fa. “E pensare che era sanissimo” riprende a raccontare Martina. “Uno che stava attento a tutto, avrà mangiato riso in bianco e filetto per tutta la vita, per essere sempre in forma. Se cresceva di un chilo, era una tragedia, attento a tutto…”. Mamma Luisa lo ricorda così: “Com’era Italo? Io posso solo dirle che era un ragazzo per bene, una brava persona. Quella era la cosa più importante, al di là della sua storia calcistica. Di lui mi piacevano soprattutto la semplicità, l’umiltà. Per me è la qualità più bella di una persona…”. Il resto glielo dice sempre la gente. «Entrano, qui in profumeria, guardano quella foto alla parete e mi dicono: “L’era forte, Italo…”. Quella foto c’è ancora. Lui assieme a Gianni Bui, abbracciati dopo un gol. Un gigante il Bui, piccolino l’Italo. Gli volevano bene tutti, alla “freccia di Castelmassa”. Gliene vorranno sempre. Quella foto è un poster che nessuno staccherà mai.