Manè, sei stato la gioia di un popolo Uno dei più forti campioni brasiliani morì solo, abbandonato da tutti, 38 anni fa

Le ginocchia storte e un leggero strabismo. Con alcuni medici a sconsigliargli di giocare a calcio, anche per quella gamba più corta dell’altra. Quei famosi 6 cm di differenza che gli permisero di diventare uno dei “dribblatori” più forti di tutti i tempi. Il 20 gennaio del 1983 lasciò
definitivamente questa terra, e tutti i peggiori bar brasiliani, Manoel Francisco dos Santos meglio noto come Garrincha Una vita spesa tra il Botafogo e la nazionale brasiliana, tra improvvisazione e inventiva, senza badare troppo agli allenamenti. Con tante donne e altrettanto alcol.
Il soprannome “Garrincha”
glielo diede una sorella, perché il suo aspetto minuto le ricordava quello di un’omonima specie di uccelli che lui era solito cacciare da bambino. “Manè” invece era il diminutivo del suo nome che in
portoghese sta per criniera.
La sua carriera cominciò nelle giovanili del Pau Grande, la squadra amatoriale della fabbrica tessile dove lavorava da adolescente. Solo a 19
anni il Botafogo si accorse di lui e ne acquistò il cartellino per cinquecento cruzeiros (l’equivalente all’epoca di 27 dollari), dopo un provino in cui fece impazzire a suon di dribbling l’allora terzino
della nazionale Nilton Santos. All’esordio nel campionato carioca mise subito a segno 3 reti. Anche
se gli scudetti arrivarono successivamente (nel ’57, ’61, ’62), con il suo talento al massimo dello splendore e le porte della “selecao” a spalancarsi. 50 partite ufficiali con la nazionale, perdendo solo l’ultima contro l’Ungheria, e ben 40 in compagnia di Pelè, senza nessuna sconfitta: assieme conquistarono la coppa del mondo nel ’58 in Svezia, e nel ’62 in Cile
I due divennero le figure nelle quali il popolo poteva identificarsi, l’archetipo del brasiliano di umili origini in cui trovare un esempio di redenzione. Uno con un approccio efficace e da atleta a tutto tondo (Pelè) e l’altro prettamente ludico (Garrincha). Qualche allenatore bocciò Garrincha perchè “dribbla troppo” e un arbitro volle addirittura espellerlo per lo stesso motivo. Questo però era il suo modo di intendere il calcio, con una finta che nessuno riusciva a fermare: scatto sulla destra, stop e di nuovo sulla destra a saltare l’ennesimo difensore. Il matrimonio con la prima moglie e ben 8 figlie, per poi scappare in Italia con un’altra donna, la famosa cantante brasiliana Elza Soares. A Roma, Manè fece addirittura il rappresentante di caffè per un breve periodo e giocò per il Sacrofano, squadra amatoriale laziale che gli permise di strappare gli ultimi contratti. Nel ‘72 la coppia tornò in Brasile, ma Elza, dopo l’ennesima sbronza, se ne va. Manè passò gli ultimi anni della vita senza esser minim mente in grado di badare ai suoi 14 figli sparsi per il mondo. Povero e sempre ubriaco. E a soli 49 anni, la stella brasiliana più solitaria morì nella notte. Sulla sua lapide c’è scritto: “Qui riposa in pace colui che fu la gioia del popolo, Mané Garrincha”.
Fabio Ridolfi