“Partita di calcio e partita Iva. Così ho cambiato la mia vita”. Ecco Tricella, capitan scudetto

Dalla partita sul campo da calcio, alla partita IVA in campo immobiliare. Da libero in difesa a libero professionista. È questa la seconda vita di Roberto Tricella, colonna portante dell’Hellas Verona di Bagnoli. «Così giovane, già capitano?» gli disse quasi incredulo Papa Giovanni Paolo II, quando aveva solo 23 anni e un futuro calcistico promettente avanti a sé. E così è stato: due trionfi in Coppa Italia, prima con l’Inter (1977-1978) e poi con la Juve (1989-1990), squadra con la quale, nella stessa stagione, ha vinto anche una Coppa UEFA.
In mezzo lo storico scudetto, con tanto di fascia da capitano al braccio, conquistato con l’Hellas nella stagione 1984-1985, al termine di un campionato partito al meglio, con una vittoria per 3 a 1 sul Napoli al Bentegodi. Era la prima di Maradona in Italia. E proprio da lì partiamo.
Maradona se n’è tornato sul pianeta da cui è venuto…
«Un giocatore straordinario che ci ha mostrato cose meravigliose. Ha fatto gioire tantissime persone, ma ne ha anche fatte arrabbiare altre facendo vincere il Napoli. Uno di quei talenti naturali nati per giocare a calcio», e cita, tra questi, anche Pelè, Cruyff e Messi. «A questi non puoi insegnare niente perché l’istinto li porta a fare tutto», conclude con un’intonazione che lascia percepire una certa ammirazione, oltre che dispiacere.
Appese le scarpette al chiodo, a differenza di Maradona e di tanti altri che hanno deciso di rimanere all’interno del mondo del calcio, Tricella se ne è allontanato definitivamente, costruendosi da zero una nuova carriera affidandosi alla sua caparbia e alla sua determinazione.
Di cosa si occupa oggi?
«Sei mesi dopo il ritiro ho fatto degli investimenti, comprando dei terreni edificabili. Ho cominciato ad occuparmi di questo, per quel poco che ne potevo sapere all’epoca. Inizialmente mi rapportavo con i clienti e seguivo le varie fasi della lavorazione, poi ho cominciato ad occuparmi degli appalti».
E così oggi porta avanti con successo la sua attività assieme ad altri due soci e a breve festeggerà i trent’anni in questo settore. Lascia trasparire molta fierezza mentre ne parla.
«Il mio sogno sarebbe stato tornare nella bellissima Verona», dice dopo una breve pausa di riflessione, «magari con qualche ruolo in ambito societario. Ma quando ho visto che non c’erano le prospettive per proseguire ho deciso di fermarmi qui, nell’hinterland milanese, dove avevo gli affetti e gli investimenti. È stata una scelta obbligata».
Prova nostalgia per questa scelta?
«No, per ora ho vissuto due vite. Sicuramente quella più bella è quella da calciatore», racconta mentre gli scappa un sorriso. «La cosa bella è che comunque ho sempre fatto un lavoro dove nel bene o nel male ho sempre deciso io, ho sempre determinato io le cose, senza dipendere da altri. Quando lavori in proprio hai un sacco di incertezze, di punti interrogativi. Ti devi buttare e sperare che vada bene, mettendoci sempre del tuo. Da calciatore, però, nonostante tu faccia parte di una squadra, alla fine devi rispondere solo di quello che fai personalmente, mentre sul lavoro devi rispondere anche di quello che fa chi lavora per te e di conseguenza le responsabilità verso l’utente finale sono maggiori».

Ha incontrato particolari difficoltà?
«La cosa importante è scendere dal piedistallo», risponde con tutta la sua umiltà. «Una volta che ho smesso non ero più il Tricella che giocava a calcio. Per certi aspetti la gente è lì che aspetta che tu faccia il passo sbagliato. Nella maggior parte dei casi pensa “va beh, sa giocare a pallone ma poi non sa fare nient’altro”. Però sfido chiunque a fare una cosa per vent’anni e poi tutt’a un tratto cambiare e fare altro».
Insomma, il successo deriva soprattutto dal duro lavoro e dal sacrificio.

Quindi non ha particolari rimorsi…
«Il mio unico rammarico è quello di non essermi laureato. Una volta diplomato mi sono iscritto a legge, ma poi non ho proseguito. E devo dir la verità: non ho proseguito per colpa mia, perché avrei avuto la possibilità e il tempo di farlo».

Come le piacerebbe essere ricordato? Come calciatore o come immobiliarista?
«Io voglio esser ricordato come Tricella Roberto, poi sta agli altri giudicare quello che ho fatto nella prima e nella seconda parte della mia vita, anche se il giudizio degli altri alla fine è relativo. Tu sai quello che hai fatto, come lo hai fatto e devi rendere conto solo alla tua coscienza. Io sono contento delle scelte che ho fatto. Ho dedicato solo un po’ troppo tempo al lavoro nella seconda parte della mia vita rispetto a quello che avrei voluto dedicare alla mia famiglia».
Segue ancora l’Hellas?
«Sì la seguo, anche se i nomi dei giocatori cambiano troppo velocemente e per uno della mia età è difficile memorizzarli», scherza. «Sta facendo benissimo nonostante abbia cambiato tanto. Se continuano a giocare così fanno un altro buon campionato, sarebbe un’ulteriore e importante conferma».

Vuole dire qualcosa a Verona?
«Verona è una città che ho e che avrò sempre nel cuore. Ci torno sempre volentieri, ho tanti amici che vivono lì. Per me è un pezzo di vita che rimarrà per sempre indelebile».
Come indelebile resterà l’impresa che quel Verona ha regalato alla città.

Pietro Zardini