“Qua tuti par mi? Sì mati voialtri…” Così avrebbe detto il Macola ai “suoi” allenatori, commossi, davanti alla Chiesa

Li avesse visti, tutti insieme, li avrebbe gelati con una delle sue proverbiali battute, il vecchio Macola. “Sa fèo qua? Ndè a Veronello, qua ghè penso mi”.
E invece c’erano quasi tutti, i “suoi”allenatori di serie A. Malesani e Pillon,Corini e Maran. Assenti, giustificati, Di Carlo e Delneri, trattenuti da problemi di famiglia, ma presenti col pensiero.
E poi, tutto il “suo” Chievo, dal presidente Campedelli, al segretario Sebastiani, Pacione, Balestro, Moro, Pellissier, Lanna. E lo striscione dei tifosi, la North Side. Gli applausi.
E poi, la gente comune, la “sua” gente”. Quella che gli chiedeva notizie, “ci zuga, Macola?”. E lui, con l’occhio vispo, ti diceva “…ghè penso mi, el mister el me ascolta sempre”.
C’era, soprattutto, un mare di affetto, questa mattina, nella piazza del Chievo. Affetto vero, anche qualche “luccicone” agli occhi, nascosto da occhiali e mascherine, “perchè il Macola non era come gli altri, era diverso”.
Già, diverso. Perchè sorrideva sempre, perchè prendeva la vita con ironia e intelligenza, semplicità e umanità. Perchè non era mai cambiato, quando il Chievo se la vedeva col Suzzara e quando andava a sfidare il Milan.
Nè era cambiato lui, completo elegante e cravatta, “…vegni dentro, te vesto mi”, strizzava l’occhio e rideva.
C’era, anche, quel filo di malinconia che ogni storia finita si porta appresso. La sua storia, che poi, a pensarci bene, è stata la storia del Chievo. Finita l’una, era fatale finisse anche l’altra, senza che lui lo sapesse, senza che lui potesse in qualche modo vivere uno smacco che sarebbe stato durissimo.
C’era, in tutti, il senso di un addio che è stato, anche, l’addio a quel Chievo, quello che manca da matti a un calcio purtroppo cambiato. “Dove sono i valori di una volta?” ha scosso la testa Bepi Pillon. Uno che, come tutti i mister, col Macola ha giocato a carte, ha parlato spesso di calcio e di vita, più di vita che di calcio e non perchè non ne capisse. “Ancò no ghè semo” diceva in certi intervalli, scuotendo la testa (lentamente, per non spettinarsi). Ma poi era il primo a crederci, “…ghè no viste tante, de partìe…”. Le aveva viste tutte, finchè ha potuto. Se n’è andato, in fondo, quando non poteva più dare una mano al “suo” Chievo. Se n’è andato senza ascoltare l’ultimo applauso. Forte. Intenso. Sincero. Gli avrebbe fatto piacere, certo. Ma ti avrebbe guardato alla sua maniera, sorriso e ironia. “Sio mati?”, avrebbe detto, scuotendo la testa. E col pettine in mano si sarebbe risistemato ancora una volta il ciuffo.