Renzi esce dal Pd, Tosi gode. E gli altri? Grandi manovre politiche La maggioranza si punzecchia. Benini, Ferrari, Vantini e Venturi pronti a stupire

Renzi, il miglior stratega su piazza, ha spinto il Pd verso i 5 Stelle, è stato il demiurgo del governo giallorosso e una volta compromessa l’immagine del Pd (e dei 5 Stelle) ne è uscito annunciando la fondazione di un proprio movimento. Il tutto in un mese poco più. Non c’è che dire: geniale. Il partito di Renzi sarà molto proiettato al centro, ab­bandonerà le posizioni classiche della Si­nistra e sarà una nuova casa per i moderati. Potrebbe en­trarvi, o comunque avvicinarsi, anche Flavio Tosi, il quale, di fatto senza un partito, ha estremo bisogno di un apparato che lo sostenga. Il consenso personale, inevitabilmente, non può essere quello del 2007 (e nemmeno del 2012, anni della sua prima e seconda elezione), e il voto – almeno sulla car­ta – a Verona non è previsto prima di altri due anni e mez­zo. Tosi mira esclusivamente a tornare a Palazzo Barbieri e puntando solo sulla propria lista civica, anche se la più forte in circolazione (lo dicono gli ultimi risultati), difficilmente potrà spuntarla. Tosi in passato è stato vicinissimo a Renzi. Tosi è stato il frontman di Renzi in occasione dello sciagurato (per la Sinistra) referendum co­stituzionale. E Tosi, sul mo­dello dell’ex premier, con l’aiuto di Renzi potrebbe puntare ad allargare la propria base elettorale in città in vista delle prossime amministrative. L’al­lo­ra premier ci provò nel 2017 ma il tardivo e pasticciato en­dor­se­ment a poche ore dal ballottaggio con Federico Sbo­arina non giovò affatto a Pa­trizia Bisinel­la, anzi, forse convinse qualche elettore del Pd ad andare al lago o in montagna. In ogni caso l’esito del ballottaggio era scontato. Ora però Renzi non è più nel Pd e tutto potrebbe cambiare, forse già in vista delle regionali ve­nete dell’anno prossimo, probabile laboratorio in vista del voto cittadino. Se Tosi lavora nell’ombra e gode della caduta (solo relativa, però, nei consensi) di Sal­vini, il resto della politica, a Pa­lazzo Barbieri, sem­bra sottovalutare i repentini sviluppi po­litici nazionali. La maggioranza, nei corridoi del municipio, si punzecchia. La Lega continua la sua campagna acquisti (vedi Velardi e Neri) ma sembra non tenere conto che in città le percentuali del partito sono sempre state piuttosto contenute (8,8% nel 2017, con Salvini in auge). Al momento, poi, sembra sguarnita di candidati di peso e non dà nemmeno l’impressione di coltivarli. Sboarina finora non ha sfruttato il ruolo di sindaco di una città importante come la nostra per farsi conoscere a livello nazionale. Qualche fugace apparizione in occasione del Congresso delle Famiglie e nulla più. Capitolo a parte per Fratelli d’Italia che grazie alla Meloni e al buon lavoro della coppia Bertacco-Maschio sta guadagnando voti su voti. For­za Italia non esiste. I 5 Stelle non risultato all’appello. Il Pd gioca sempre e solo di rimessa, eccezion fatta per il giovane capogruppo Federico Benini. Fa parte della nouvelle vague della politica veronese assieme al consigliere Tommaso Ferrari (Verona Civica). Fuori da Palazzo, ma attivissimo e interessatissimo alla partita, Fabio Venturi, che con la sua “Ge­nerazione Verona” evita di addentrarsi in tematiche ideologiche (d’altronde tutti i sondaggi a livello locale testimoniano che alla gente interessano sicurezza, strade e iniziative che rivitalizzino i centri) e si concentra soprattutto sui quartieri. C’è poi Federico Vantini, ex Pd e già in campo con “Verona Unica”. E se questi 30-40 enni (i quali tra loro vantano ottimi rapporti) tra un paio d’anni decidessero di unire le forze e dare vita a una coalizione trasversale? Per i partiti tradizionali sarebbero dolori. A meno che i partiti tradizionali non de­cidano di puntare su uno di loro per sparigliare le carte.

A.G.