Rischio idrogeologico: troppe criticità. Lo studio di Ance e Confindustria Tra Verona e provincia sono 20 mila le persone che abitano in zone di pericolo

La fase di emergenza in Emilia Romagna si sta concludendo e i fondi per sistemare un territorio pesantemente provato in fase di erogazione. Piano piano l’argomento “rischio idrogeologico” inizia a sparire dai radar, abbassando la percezione della sua reale esistenza. La spesa di cui si è fatto carico lo Stato, inoltre, è enorme. «Questi esborsi emergenziali potrebbero essere contenuti se solo si entrasse in scena prima del disastro con interventi sulle infrastrutture, sulle reti idriche e sulla tutela del suolo – il commento del Presidente dei Costruttori veronesi, Carlo Trestini – A quanto pare il vecchio detto “prevenire è meglio che curare” sembra non essere chiaro». L’Italia è fortemente a rischio idrogeologico: secondo l’ultimo rapporto dell’ISPRA (2021) le aree con elevate possibilità di frane o alluvioni ed erosione costiera rappresentano circa il 18,4% della superficie totale (55.609 kmq) e su queste zone è localizzato il 94% dei Comuni italiani (7.423 su 7.901). Verona non è da meno. Secondo i dati Cresme contenuti nello studio di Ance e Confindustria territoriali Verona 2040, solo nel circondario cittadino, più di 12.000 persone abitano in zone a rischio elevato di alluvione, in provincia salgono ad almeno 20.000. La possibilità di accadimenti di questo genere non è quindi così remota, anzi. Occorrono interventi preventivi come Ance Verona, già nel 2010, aveva evidenziato proponendo un piano a medio-lungo termine per la manutenzione del territorio. Aspro constatare che dopo tredici anni poco si sia mosso in termini di prevenzione. Esistono però anche esempi virtuosi che arrivano dai territori limitrofi. Uno è quello di Garzare di Lusia, in provincia di Rovigo, dove nel febbraio 2022 sono iniziati i lavori (conclusi in pochi mesi, con anticipo sui tempi previsti) per un diaframma plastico sulla sponda destra dell’Adige. Una sorta di muro di contenimento a tenuta stagna inserito nell’argine per evitare pericolosi riversamenti di acqua verso la cittadina. «È chiaro che in un contesto del genere i vantaggi sono di tutti” – spiega Trestini – “Si mette in sicurezza il territorio e le persone che ci vivono; le imprese e la filiera lavorano, si genera occupazione; la pubblica amministrazione non è costretta a intervenire dopo gli accadimenti spendendo di più. Eppure, sulla programmazione siamo terribilmente indietro, nonostante l’Italia sia il paese del Vajont, del ponte di Genova, e di molti altri drammatici episodi». Le soluzioni esistono. Ad esempio, la mappatura precisa delle fragilità del territorio e delle infrastrutture sulla quale basare un serio programma di manutenzione, accompagnato dalle risorse necessarie.