Scirea, Angelo campione La Juve aveva vinto 4-1 a Verona, ma sulla strada del ritorno a Torino fu raggiunta da una terribile notizia. E i sorrisi per il successo divennero lacrime di dolore

“No, non è possibile”. Quattro parole. Dino Zoff sedeva al primo posto, sul pulmann che riportava la Juve a Torino. Di quella Juve, Dino Zoff era l’allenatore. Quattro parole. “Scirea è morto in un incidente stradale”. La notizia sconvolse l’allegria di quel pullman. La Juve aveva vinto 4-1 a Verona. Poi fu solo silenzio. Gaetano Scirea di quella Juve era il vice allenatore. Amico di Zoff, amicizia vera, totale. “Gaetano, ti vorrei con me…” gli aveva detto quando Scirea aveva chiuso col calcio giocato. Zoff conosceva già la risposta. Friulano uno, lombardo l’altro. Poche parole l’uno, zero parole l’altro. Perchè l’amicizia nasce così, a volte. Sguardi, più che discorsi. Ideali, ecco. Un calcio a misura d’uomo, giusto per essere chiari. Un calcio senza esasperazioni, giusto per spiegarsi. Dove si può essere campioni del mondo e non andare in giro a festeggiare. Loro due, Dino e Gaetano, la notte dell’Italia di Bearzot campione del mondo, non andarono con gli altri a festeggiare. Rimasero assieme, in camera. Stapparono anche una bottiglia, certo. Spuntò persino una sigaretta, “…ma sì, quando ci vuole, ci vuole”. Ma passarono quel tempo soprattutto a pensare. A parlare. Ad ascoltarsi. “Interrompiamo la trasmissione – disse Sandro Ciotti, che guidava la Domenica Sportiva – per annunciare purtroppo una tragedia. In un incidente stradale, in Polonia, è morto Gaetano Scirea”. Marco Tardelli, in studio, si sentì male. Non fu l’unico. Fu un colpo al cuore dell’Italia intera, non solo di quella metà che da sempre ama la Juve. Perchè Scirea era più di un campione, non era solo il “libero” della Juve e della Nazionale. Scirea era il “libero” di tutti, un campione senza confini, come sanno essere gli uomini veri, i campioni nella vita. Quelli che appartengono a tutti, non hanno solo una maglia, rappresentano tutto quello che vorremmo sempre vedere sul campo. Mai espulso o squalificato, ad esempio. E di mestiere, faceva il difensore. Un mito, per come interpretava il calcio, dentro e fuori dal campo. Sette scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una Coppa Uefa, il titolo di campione del mondo ’82, non l’avevano cambiato. Anzi. Era il primo a salutare, sempre. A dire “grazie”, al giornalista che l’intervistava. O “scusi”, se era arrivato due minuti in ritardo all’appuntamento. “Gaetano, vai in Polonia?” gli aveva chiesto Zoff, qualche settimaa prima. “Vai a vedere il Gornik Zabrze, mi dici come sono”. Il Gornik era l’avversario della Juve in Coppa Uefa. “Vado, Dino, poi ti dico”, gli aveva risposto Scirea. L’aveva visto il Gornik. Aveva la sua bella relazione già scritta. Stava raggiungendo Varsavia, dove l’attendeva il volo per Torino. “Lunga e diritta correva la strada…” cantava Francesco Guccini. Lunga e diritta era la strada per Varsavia. La vettura sulla quale stava Scirea assieme ad autista, interprete e un dirigente del Gornik, fu tamponata da un furgone. Prese fuoco. Il dirigente polacco si salvò per miracolo, sbalzato fuori dalla macchina. Per Scirea e gli altri, non ci fu scampo. Inutile la corsa in ospedale. “Scirea è morto” ripetè Sandro Ciotti con le lacrime agli occhi. Piangeva l’Italia intera.

Raffaele Tomelleri