Torna in auge il dibattito sul merito Il rapporto nei confronti di questo tema definisce anche la sottesa appartenenza ideologica

Nel dibattito pubblico è tornato recentemente in auge il tema del merito: muovendo da considerazioni relative al rendimento scolastico, sempre misurato alla valutazione della performance, il ragionamento si allarga spesso a considerare il merito come valido metro per misurare la riuscita personale, professionale ed economica in ambito sociale.
Il modo con il quale ci si rapporta a questo tema e alla sua profondità (perché di profondità si tratta, al di là delle semplificazioni) definisce anche la sottesa appartenenza ideologica. Di ideologia si può e si deve parlare, nonostante la demonizzazione del concetto avvenuta negli ultimi anni e di cui si è già avuto modo di parlare su queste pagine. E quella del merito è essa stessa una ideologia, della quale ha parlato con grande puntualità Mauro Boarelli in un bel libro uscito per Laterza nel 2019 intitolato, appunto, Contro l’ideologia del merito.
Perché se di ideologia si tratta, si può essere, conseguentemente, pro o contro. Ma che cosa si intende per ideologia del merito? Non è il merito – ci viene detto costantemente – una cosa positiva, ovvia e addirittura scontata, nel momento in cui sulla base di esso si definisce l’individuo? Il problema è che, dietro l’esaltazione del merito, si celano spesso politiche educative di stampo regressivo, ossia, volte non a fornire possibilità di avanzamento reale in ambito culturale e/o economico, ma a favorire il mantenimento dello status quo.
Si considerino, innanzitutto, i metodi con cui il metodo viene misurato – perché, chiaramente, se esso esiste e deve essere un metro di valutazione, deve essere esso stesso passibile di essere quantificato. Ad oggi, viene dato grande peso alle cosiddette competenze, secondo quelle che Boarelli descrive efficacemente come proiezioni alla imprenditorialità, per cui la migliore forma di intelligenza è quella che permette alla produzione di aumentare. In questo contesto, un concetto come quello di merito risponde a categoria liberal-liberiste, in cui, se l’individuo è performante e realizzato, esso è un suo merito, mentre, se non riesce, è per suo de-merito (il connotato anche morale è implicito, ma assolutamente percepibile).
Cosa manca, in sintesi, in questa struttura? Manca, da un lato, la dimensione individuale (solo apparentemente tenuta in considerazione), che implica diverse tempistiche e diversi esiti dell’attività di ciascuno; e manca, anche, una corretta valutazione del tema della disposizione o della attitudine individuale. Questi termini, presenti nella narrativa del merito, ci mostrano come sia di fatto naturale che il figlio di una famiglia medio o alto-borghese abbia attitudine a frequentare un liceo, e poi a intraprendere un lungo percorso universitario – medicina, ingegneria, giurisprudenza – che lo potrà impegnare per anni senza che questo sia necessariamente (esistono ovviamente eccezioni) un problema economico.Mentre famiglie a basso reddito generano principalmente figli che hanno attitudine a professioni tecniche, e che quindi frequenteranno istituti di avviamento professionale.
La confusione tra narrativa e realtà, tra condizione socio-economica di partenza e presunta “naturalità”, ossia, in fondo, la mancata considerazione delle condizioni materiali di partenza, mascherano sotto il velo delle “uguali opportunità per tutti” la connotazione marcatamente ideologica – e quindi, se si ritiene, da combattere – di questa forma di esaltazione del “merito”.

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