“Vi racconto mio papà Giacinto. Orgoglioso di essere Facchetti” Il figlio Gianfelice: “Grande come in campo, anzi, anche di più”

Non c’è un prima e non c’è un dopo, non c’è ieri e non c’è domani. Come se papà Giacinto, in fondo, non se ne fosse mai andato. Se fosse in sede, o al campo, la sua vita. E se ci pensi bene, è così pure per chi vuole bene al calcio e alle cose serie che spesso riesce a regalarci. Quelli come Giacinto Facchetti, fondo, giocano ancora, giocheranno sempre, nel cuore della gente. “Ma sì, un po’ lo penso anch’io” sorride Gianfelice, uno dei figli del campione. “Pensa che un giorno,
un bambino, avrà avuto 10, 11 anni, mi guarda e mi dice: “salutami il tuo papà”. Certo, gli ho detto, lui è in cielo, ma lo farò…Mi ha fatto pensare: se un bambino di 10 anni conosce Facchetti,qualcosa vorrà pur dire, no?”.
Perchè quelli come Facchetti appartengono a tutti, non c’è Inter e non c’è Milan, sono i campioni della gente, come cantano gli Stadio nella canzone dedicata a Facchetti e Scirea. “E’ bello
– ammette Gianfelice – vedere che la gente ricorda papà, che ne parla bene, con affetto, come se l’avesse conosciuto da sempre.
Ti fa pensare che papà fosse davvero il campione di tutti, grande, ma vicino alla gente, come forse oggi non succede più…”.
Dice di averlo “riscoperto giorno per giorno”. “Quando ha smesso, avevo solo 4 anni, ho ricordi molto vaghi, della sua storia di giocatore. L’ho ricostruita dopo, andando a rileggere qua e là,
ascoltando racconti, sentendo i suoi compagni, i suoi avversari. E’ stato bello anche questo. Così come è stato bello scoprire che
non c’erano due Facchetti, uno calciatore e l’altro papà. No, erano uguali, le due “figurine” si sovrapponevano alla perfezione. Il papà era uguale al personaggio pubblico…”.
Un papà presente, “…anche se gli impegni lo tenevano spesso lontano da casa. Allora era mamma a indicarci la strada, ma non c’è
mai stato un momento in cui non fossero d’accordo. Se mamma diceva una cosa sapevi che papà era d’accordo e viceversa”. E quanto alle “invasioni di campo”, Gianfelice non ha dubbi: “Ho giocato a calcio anch’io, fino ai vent’anni. Facevo il portiere, ruolo diverso,
nelle giovanili dell’Atalanta. Papà mi dava qualche consiglio, certo, ma non si è mai sostituito all’allenatore. C’è sempre stato un totale
rispetto dei ruoli, al calcio, come a scuola. E se il professore ti dava 5, te lo eri meritato, punto e basta”.
Affiora un certo rimpianto, per quel mondo che non c’è più. Quello che mamma e papà Giacinto gli hanno insegnato, senza bisogno di alzare troppo la voce. Perchè a casa Facchetti funzionava così. E i valori umani, il rispetto delle regole, contavano molto, erano tutto. “Sennò, che gente saremmo”. E’ il titolo del libro in cui Gianfelice ricorda papà.

Raffaele Tomelleri