6 agosto 1945: tragedia a Hiroshima Un aereo americano, Enola Gay, sgancia l'atomica sul Giappone: è disastro nucleare

Ore 8:15 di una mattina di agosto, precisamente del 6 agosto 1945. Hiroshima si è svegliata come ogni giorno, con il rumore del mare che riempiva le vie e l’odore del pesce che inebriava l’aria. Poi, in meno di una frazione di secondo, tutto è stato distrutto: da città portuale nel sud-ovest del Giappone, Hiroshima è diventata la prima città obiettivo di un attacco nucleare della storia.
Quella mattina di agosto di settantacinque anni fa, un aereo statunitense – chiamato Enola Gay – ha sganciato sulla città giapponese una bomba all’Uranio, con il nome in codice “Little Boy”. La bomba conteneva 64,3 chilogrammi di Uranio all’80% e, al momento dell’esplosione, ha liberato un’energia pari a 12,5 – 20 chiloton: sono dati che a noi possono non dire molto, ma sono le loro conseguenze a parlare.
La bomba Little Boy è esplosa, un lampo di luce ha brillato nel cielo, un suono atroce ha squarciato il silenzio mattutino e, in dieci secondi, l’onda d’urto di quel marchingegno sconosciuto ha polverizzato il territorio per un raggio di 8km, uccidendo istantaneamente 80mila persone.
Quello che pare, inizialmente, paradossale è il fatto che queste decine e decine di migliaia di vittime morte sul momento, senza consapevolezza di quanto stava accadendo loro, siano state in realtà più “fortunate” di coloro che sono sopravvissuti a Little Boy. Gli uomini e le donne che in quel momento stavano camminando per le strade di Hiroshima non sapevano cosa fosse una bomba nucleare: la sola idea non apparteneva al loro immaginario collettivo. Non possiamo che immaginare la paura, la confusione, il terrore che devono averli assaliti davanti a quel bagliore violento e a quello stridore metallico. Si sono trovati, in una manciata di secondi, nel mezzo di una città fantasma completamente distrutta, senza più muri, case, punti di riferimento. Persi in un oceano di fumo e grida, immersi in un caldo devastante, non sopportabile, sono stati colpiti da una pioggia radioattiva nera: molti, per tentare di placare la sofferenza che li soffocava e le scottature che bruciavano loro le interiora, hanno tentato di buttarsi nel fiume Ota, che separa le isolette sulle quali sorge la città di Hiroshima.

Un destino simile, catastrofico, è toccato anche alla cittadina di Nagasaki, tre giorni dopo. Un aereo americano ha sganciato la bomba “Fat Man”, portando alla morte istantanea di 40mila persone e di altrettante nei due mesi successivi.
In entrambe le città sono stati eretti dei memoriali per ricordare i defunti di queste tragedie nucleari: a Hiroshima sono stati costruiti monumenti (compresa la cupola dell’ex padiglione della fiera industriale, una tra le pochissime costruzioni non distrutte dalla bomba), un museo e un parco. È proprio all’interno del parco (Peace Memorial Park) che l’anno scorso, alle 8:15 del 6 agosto, circa 50mila persone hanno ascoltato i rintocchi della campana e hanno osservato il minuto di silenzio in ricordo delle vittime. Si può presupporre che alla cerimonia di commemorazione fossero presenti anche gli “hibakusha”, termine designato per indicare coloro che sono sopravvissuti alle catastrofi nucleari giapponesi. È rilevante anche sottolineare la presenza dei rappresentati di 92 nazioni.
Alcuni anni fa, in occasione della commemorazione del 68° anniversario della strage tenutasi sempre al Peace Memorial Park, il premier Shinzo Abe ha dichiarato questo: “L’eliminazione delle armi nucleari è l’unica strada praticabile”. La stessa linea di pensiero è stata ripresa anche l’anno scorso dal sindaco di Hiroshima, Kazumi Matsui, che ha sollecitato i leader del mondo a impegnarsi per una pace che escluda ordigni atomici.

Elettra Solignani