Colella, prendere o lasciare: “Non copio, sono fatto così” “La salvezza? Possiamo farcela, ma non creiamoci false illusioni”

Con i piedi ben saldi a terra. “Qualcuno dopo la vittoria a Cesena, di due settimane fa, ha detto: era meglio vincere con un solo gol di scarto, per non dar adito a facili illusioni. E’ solo una battuta, ma calza a pennello”.
Si può riassumere così il pensiero dell’uomo che sta trascinando la società del presidente Venturato, fuori dalle sabbie mobili. Una personalità forte, schietto e diretto anche nella
vita privata: “Per via del mio carattere, a volte risulto antipatico. Spesso mi dicono che dovrei “smussarmi”, ma piuttosto di assomigliare a qualcun altro, preferisco rimanere come sono, nel bene e nel male”.
Prendere o lasciare. Giovanni Colella, nato campano, ma veneto d’adozione, è l’allenatore che serviva ai biancazzuri: un “mago” d’esperienza in queste situazioni. Da quando c’è lui in panchina sono arrivate 3 vittorie, 2 pareggi, una sola sconfitta e quasi 2 gol fatti a partita, numeri da far invidia alle grandi. Una vita spesa sul campo, tra giovanili, serie C e B, fino ad arrivare addirittura in Albania.
Colella, da dove nasce la sua passione di allenare?
Ero un calciatore modesto e per restare nell’ambiente cominciai a fare l’allenatore, anche se la passione c’è sempre stata. Sei come un insegnante alla fine e se non ti piace insegnare, meglio cambiar rotta.
C’è nella sua carriera un’esperienza più importante delle altre?
Sono tutte importanti e formative, soprattutto quelle brutte, perché devi esser bravo a tirar fuori il bello anche da lì. E perché ti restano impresse, ci vuole impegno a farle passare.
Come mai la scelta di andare nel campionato albanese?
Avevo voglia di confrontarmi con qualcosa di diverso, ed è stata un’esperienza molto positiva, finché il Presidente non si è ammalato e tutto è precipitato. Ho rivalutato l’importanza del farsi capire, che non ritenevo potesse crearmi problemi: c’era metà squadra che non parlava né italiano né inglese. E’ stato molto formativo, ho dovuto studiare un nuovo modo per comunicare il mio messaggio.
Chi sono stati i suoi maestri?
Come a tanti, mi piaceva il Milan di Sacchi, ma non mi ritengo un “sacchiano”. Ogni persona che fa questo mestiere ha delle buone idee: delle volte mi son fermato a guardare un allenamento di Seconda Categoria e trovare ispirazione. L’importante è non dare mai niente per scontato.
Adesso con un Legnago così in forma, si può puntare alla salvezza diretta?
La prima cosa che ho detto alla squadra una volta arrivato, è che bisognava evitare l’ultimo posto. Puntiamo come minimo a fare i play-out, anche se ovviamente spero di salvarmi direttamente. Però il calciatore deve avere degli obbiettivi reali, sennò gli distruggi l’autostima, perché sono i risultati
che misurano le speranze, e non il contrario.
Ha letto giornali dopo il trionfo di Mantova?
Non sono diventato matto a cercarli, ma ho dato una letta: certo fa piacere, il pericolo che i giocatori si montino la testa c’è sempre, ma con l’esperienza impari a filtrare. Ero contento soprattutto di leggere felicità all’interno del mio spogliatoio.
Come si vive economicamente in serie C?
A Legnago bene, perché c’è una società seria. Io sono sempre stato fortunato, e tanti giocatori ci vivono bene, facendo ciò che gli piace, ma sapendo che non durerà per sempre. Ci sono altri addetti
ai lavori invece non così fortunati, basta vedere l’esempio della Sambenedettese.
Lei non usa Whatsapp e nemmeno i social, come mai?
In tanti me lo dicono: in primis perché voglio delegare ai miei collaboratori, e poi penso che quello che perdo dal non usarli, lo guadagno in termini di serenità.

Fabio Ridolfi