Il fondamentalismo islamico di Qutb Questa visione politica ispirò l’operato del più carismatico tra gli ayatollah: Khomeini

Ruhollah Khomeini, il più carismatico degli ayatollah, si oppose dall’esilio con forza e determinazione alla dittatura dello shah e rifiutò sempre ogni elemento di modernizzazione del Paese. Faceva pervenire segretamente in Iran da Parigi le audiocassette con i suoi discorsi ed erano ascoltate in tutto il Paese e le moschee e le madrase (le scuole teologiche islamiche) diventarono inespugnabili centri di opposizione politica. Khomeini fece fallire tutte le soluzioni politiche improntate a qualche compromesso con la monarchia e divenne il trascinatore di masse dalla volontà implacabile. La sua visione politica si basava sul pensiero integralista di Qutb, esponente di spicco dei Fratelli musulmani, il quale contestava radicalmente qualsiasi forma di Stato che non fosse fondata sulla religione islamica. In un articolo del 1952, lo scrittore egiziano espose alcune delle ragioni per le quali giudicava necessario (re)islamizzare lo Stato: “L’islam deve governare per presentare all’umanità un altro stile di società, in cui l’uomo possa trovare l’ideale che il comunismo cerca di realizzare, ma che poi distrugge relegandosi entro le frontiere del mangiare e del bere; l’ideale che il socialismo, a sua volta, cerca di raggiungere, ma che la sua natura materialistica priva dello spirito e della libertà; l’ideale che il cristianesimo, infine, cerca di vivere, ma senza avere previsto leggi e decreti atti a realizzarlo. L’islam deve governare perché è la sola ideologia positiva e creativa che forma, a partire e dal cristianesimo e dal comunismo, una combinazione perfetta che riprende i loro obiettivi, aggiungendovi l’equilibrio, l’armonia e la misura. […] Infine l’islam deve governare perché esso è fortemente consapevole della sua natura e della natura della vita; afferma che non vi è islam senza potere e che non vi è musulmano senza islam: ‘Chi non governa secondo quanto Dio ha rivelato, costui è un infedele!’ (Corano 5:44)”.
Nell’opera Pietre miliari, redatta mentre era detenuto in un campo di concentramento nell’Egitto di Nasser, Qutb attaccò duramente la jahiliyyah (ignoranza e barbarie) dominante in tutte le società del suo tempo: “è jahilita [barbara, pagana] qualsiasi società che non è musulmana. Di fatto, qualsiasi società dove venga adorato un oggetto altro da Dio e da Lui solo. Dobbiamo quindi classificare in questa categoria la totalità delle società che esistono ai giorni nostri sul pianeta!” Coinvolse nella sua critica anche le società musulmane: “pertanto una società in cui la legislazione non sia fondata sulla Legge divina non è musulmana, anche se gli individui si proclamano musulmani, anche se pregano, digiunano e compiono il pellegrinaggio. […] Dobbiamo tornare al Corano e assimilarlo, al fine di applicarlo, di metterlo in pratica. Successivamente dobbiamo fare tabula rasa dell’influenza che la jahiliyya ha sulla nostra anima: sul nostro modo di pensare, di giudicare, sulle nostre usanze.”
Appare evidente come nel suo pensiero non vi sia soluzione di continuità tra religione e politica e la prospettiva di uno stato laico risulti del tutto inconcepibile, prima ancora che ammissibile.

*Romeo Ferrari, docente di storia e filosofia